CAMBAIA

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Canbaet F; Cambaet L; Cambaeth P; C(h)anbach V; Chanbrach VA; Chanbaet VB; Cambaeth Z.

BIBLIOGRAFIA – Cardona 1975, p. 579; EIt, s.v. «Kambāya», EI2, IV, pp. 993-994; Pelliot 1959-1973, p. 140 n. 107; Tresso 2006, pp. 607-608; Yule, Burnell 2013, p. 72.

Il toponimo corrisponde all’odierna Kanbāya o Cambay, nel Gujarat, situata su una pianura alluvionale sul confine N del golfo omonimo; l’etimologia sembra riconducibile al termine hindu «Khambavati, “City of the Pillar”» (Yule, Burnell 2013, p. 72). C. fu uno dei maggiori porti indiani durante il Medioevo, famoso per i suoi tessuti, per la lavorazione di pietre come agata e onice (EIt, s.v. «Kambāya»); per i suoi sandali, ma anche per l’abbondante produzione di riso, miele e frutti (EI2, IV, p. 993). Fu conquistata dai musulmani nel 1298. Ibn Baṭṭūṭa la descrive come una delle più floride città indiane, osservandone le sorprendenti maree (vd. ed. Tresso 2006, pp. 607-608), e di un ricco centro parlano anche i viaggiatori successivi (Nicolò de’ Conti, Ludovico de Varthema, Duarte Barbosa). Durante il XVII sec. C. iniziò a decadere, a causa dell’insabbiamento del golfo provocato dalle alte maree, dall’uso di grandi navi (EIt, s.v. «Kambāya») e dai detriti dei tre grandi fiumi che vi sfociano (Tapti, Mahi, Narmada).

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