ETHIOPIA
Etiopia V.
BIBLIOGRAFIA – Braudel 1985, p. 90; Cardona 1975, pp. 525-529; Cattaneo 2011, p. 167; Hirsch 1990; Pelliot 1959-1973, pp. 649-651 n. 224; Ferreira Reis Thomaz 2002; Lachat 1967; Lindsay 1911; Milanesi 1986; Richard 1957; Tedeschi 1980; Vagnon 2012.
Il toponimo Etiopia, di origine greca, entrò nell’immaginario geografico occidentale a partire dall’Antichità: quanto ne scrive Plinio, Historia naturalis (e dopo di lui Solino, Collectanea rerum memorabilium) costituì la base dell’informazione medievale; a tale tradizione risale la confusione della regione africana con l’India, fissata da Isidoro, Etymologiae XIV 5 15, per il quale gli etiopi sono «monstruosa specie horribiles» come gli indiani (ed. Lindsay 1911, II, p. 130; vd. anche Vagnon 2012, p. 24). Di fatto, per buona parte del Medioevo, «avant d’être un lieu, l’Éthiopie est un nom, qui ne désigne pas toujours le même objet géographique» (Vagnon 2012, p. 21). La difficoltà è visibile nelle mappae mundi: nella carta di Hereford (ca. 1280), infatti, il corno d’Africa è prolungato fino alla costa indiana (Braudel 1985, p. 90), mentre in quella di Ebstorf (ca. 1300) è popolato con le medesime creature teratologiche che affollano le terrae incognite dell’Asia (Vagnon 2012, p. 32). Fusa e confusa con l’India, l’E. è dunque terra di mirabilia, indefinito “Oriente” adatto a sostituire la prima come dimora elettiva del Prete Gianni, traslatio che va di pari passo con l’avvio, dal XIII secolo, dei primi contatti diplomatici con l’Occidente (Richard 1957, p. 237; Lachat 1967). Enclave cristiana nel cuore dell’impero mamelucco (il cristianesimo si diffuse a partire dal IV sec. d.C., ma dovette presto fare i conti con la rapida espansione dell’Islām), l’E. è nel XIII secolo un candidato ideale anche ad ospitare il Paradiso Terrestre, come consegue all’identificazione del Nilo con il Gihon (Richard 1957, p. 227; Milanesi 1986, p. 45). Sede del leggendario sovrano e – così si credeva – delle sorgenti del grande fiume, l’E. appare un alleato perfetto nei progetti di crociata che prevedono un embargo all’Egitto (vd. Milanesi 1986, p. 44). Per prossimità geografica ed identità religiosa, la cristiana E. è spesso confusa con la Nubia, approssimazione che si cristallizza nelle carte geografiche perdurando anche oltre l’islamizzazione della regione nubiana, completata alla metà del XIV secolo (Hirsch 1990, p. 89). Nella carta di Dulcert (Paris, BnF, Rés., Ge. B. 696; 1339), l’Egitto è nemico comune di «christianos Nubie et Ethiope qui sunt sub domino prest Iane», e nell’Atlante Catalano del 1375 (Paris, BnF, esp. 30) i cristiani di Nubia sono sottoposti alla «senyoria del enperador de Etiopia e de la terra de Preste Johan» (Hirsch 1990, p. 86). Altro toponimo produttore di ambiguità è Abissinia, corrispondente arabo generalmente preferito dai viaggiatori (Richard 1957, p. 239), ma adottato anche da Fra Mauro nella sua mappamundi (Vagnon 2012, p. 42; Cattaneo 2011, p. 167). Ai tempi di Marco Polo, attorno al 1270, la dinastia Zāgwé, che aveva il suo centro nel Lāstā, era stata spodestata dai Salomonidi di Yekuno Amlāk (1270-1285), cristiani, che spostarono la capitale più a S, «venendo così in contatto con una “collana” di staterelli o meglio di regoli musulmani stabiliti nell’Abissinia meridionale e spesso in lotta fra loro. […] i regoli musulmani conservarono una certa autonomia ma divennero tributari ossia vassalli del re cristiano» (Tedeschi 1980, pp. 367-368). Accerchiata dai vicini musulmani, l’E. fu a sua volta interessata a stringere e mantenere i contatti con l’Occidente: nel XV secolo, ospitava colonie di europei e inviava ambasciate ai concili di Costanza (1427) e di Firenze (1441), senza tuttavia avere la forza per contrastare realmente l’Egitto (Milanesi 1986, p. 44; Vagnon 2012, pp. 38-41); nel Cinquecento, furono strette relazioni in particolare coi Portoghesi, che nella prospettiva di circumnavigare l’Africa cercarono l’appoggio del potente Prete Gianni identificandolo, non senza delusioni, con il debole negus etiope (Milanesi 1986, pp. 48-49) – così, ai tempi di Ramusio, furono suoi alleati contro l’invasione dell’imām Aḥmad ibn Ibrāhīm, uccidendolo dopo una lotta ventennale nel 1543. La conoscenza diretta della regione, ben lontana dalle favoleggiate ricchezze del mitico regno, produsse le disilluse “smentite” di Andrea Corsali (inviato papale nel 1517-1518, che tuttavia ne estende smisuratamente i confini), Francisco Alvares (autore di una Verdadera Relaçao do Preste Joam) e Giovanni Botero, le cui Relationi universali rappresentano «la cronaca del malinconico tramonto di un mito» (vd. Milanesi 1986, pp. 51-52).
[IR]
|