SACHION
Sacion F; Saccion L; Sachion P; Fochion, Sachion VA; Sasicicion VB; Suçio Z.
BIBLIOGRAFIA – Agnew, Jinshi 1997; Bussagli 1981, p. 183; Cardona 1975, p. 714; De Biasio 2013, pp. 238-239; Haw 2006, p. 88; Hopkirk 2006; Ménard 2001-2009, II, p. 343 nota 136; Montesano 2014, p. 57; Pelliot 1959-1973, p. 822 n. 325; Stein 1912, II, pp. 2-234; Withfield, Withfield, Agnew 2000; https://depts.washington.edu/silkroad/cities/china/dh/dh.html.
Il toponimo identifica l’oasi di Shazhou 沙州 (nome cinese che significa “città delle sabbie”, vd. Ménard), oggi meglio conosciuta come Dunhuang 敦煌 (nelle fonti più antiche Tun-Huang, “faro risplendente”), nell’estremo NO della provincia del Gansu; come ricordato da Haw (2006, p. 88), la città antica si trovava un po’ a O di quella attuale. Il nome S., noto ai geografi arabi (Cardona 1975, p. 714), risale alla dinastia Tang (VII sec.); nell’VIII sec. subì la dominazione tibetana, e in seguito divenne parte dello stato uiguro del Gansu e del regno Xi Xia. Venne ufficialmente nominata S. nel 1277, e fu sede di un lu dal 1280 (Haw 2006, p. 88). La particolare ubicazione di S. spiega la sua importanza come porta verso l’Occidente e come avamposto militare: «The most logical route from the interior of China to the West moves through the “funnel” of the Gansu or Hexi Corridor, bounded on north and south by mountains. The mountains to the south are high enough to serve as barriers to invasion, and their glaciers fed the streams which made habitation in an otherwise dry region possible» (https://depts.washington.edu/silkroad/cities/china/dh/dhmil.html); solo il lato N è più vulnerabile, e per questo nel II sec. a.C. gli Han iniziarono la costruzione della Grande Muraglia, di cui S. è l’ultima stazione. «Nelle vicinanze di Dunhuang ci sono due passi, Yumenguan, quello della Porta della Giada e Yangguan, quello dello Yang, cioè del Sole. Erano due passi vicini tra di loro lungo la Grande Muraglia, i cui nomi sono indicativi: la Porta della Giada era il passo attraverso il quale veniva fatta entrare in Cina la giada per eccellenza, quella proveniente dal versante settentrionale della catena delle Kunlun, e quindi lo si dovrebbe meglio intendere come la Porta per la Giada. La Porta del Sole era il passo che apriva al mondo della civiltà a est, contrapposto al mondo della barbarie a ovest, anche qui meglio sarebbe tradurlo come la Porta per il Sole […]» (De Biasio 2013, p. 238). A O di questi passi si estendono i deserti del Gobi, di Lop e del Taklamakan, cosicché S. si può considerare una sorta di equivalente orientale delle colonne d’Ercole, «l’ultima sosta carovaniera nella Cina vera e propria per i viaggiatori che si inoltravano sull’antica Via della Seta» (Hopkirk 2006, p. 201). Proprio per la sua posizione ai margini estremi della civiltà, «Pellegrini, mercanti e soldati in procinto di lasciare la Cina per addentrarsi nell’oscurità spirituale e nei pericoli materiali del deserto del Talamakan, si fermavano a pregare presso i templi di Tun-huang, per implorare protezione dagli spiriti maligni e dagli altri pericoli che li attendevano. Specularmente, i viaggiatori che arrivavano […] dall’Occidente visitavano i templi per ringraziare di essere riusciti ad attraversare sani e salvi il terribile deserto» (Hopkirk 2006, pp. 201-201): tale fermento religioso è colto da Marco Polo, vd. R I 36 5: «Oltre di ciò hanno molti monasterii et abbatie, che sono piene de idoli di diverse maniere, alli quali sacrificano et honorano con grandissima riverenza». Il passo poliano si riferisce forse alle grotte di Mogao, o dei “mille Buddha”, un complesso di centinaia di templi rupestri (ming-oi) che sorge nei pressi della città, dove fu scoperta una collezione ricchissima di manoscritti e immagini «religiosi ma non solo, in cinese, in tibetano, in sanscrito, in khotanese […] in uiguro antico, in ebraico» (Montesano 2014, p. 57), statue, ricami, che dal XX sec. divenne conturbante oggetto di desiderio da parte di generazioni di esploratori occidentali (un’agile guida al sito in Agnew, Jinshi 1997; descrizioni più ampie, corredate di illustrazioni, in Stein 1912, II, pp. 2-234; Withfield, Withfield, Agnew 2000; una storia della “febbre” di Dunhuang, che condusse i “diavoli stranieri” a saccheggiarne la biblioteca e i tesori in Hopkirk 2006). Polo si sofferma poi lungamente (R I 36 6-16) sui «riti propiziatori da celebrare in occasione delle nascite e di quelli, più complessi, del cerimoniale funebre. In ambedue i casi ci troviamo di fronte a ritualismi “spurii” in quanto non ortodossi», dalla radice piuttosto «pastorale e sciamanica» (Bussagli 1981, p. 183). Il luogo è ricordato anche da Odorico da Pordenone per i fenomeni acustici dovuti alla grana particolarmente grossolana della sabbia delle dune di Dunhuang, in cinese Mingsa shan (= “Dune della Sabbia che Tintinna”) (De Biasio 2013, p. 239).
[SS]
|
|