[1] Dovete adunque sapere che nel tempo di Balduino, imperatore di Constantinopoli, dove allhora soleva stare un podestà di Venetia per nome di messer lo dose, correndo gli anni del N.S. MCCL, messer Nicolò Polo, padre di messer Marco, et messer Maffio Polo, fratello del detto messer Nicolò, nobili, honorati et savi di Venetia, trovandosi in Constantinopoli con molte loro grandi mercantie, hebbero insieme molti ragionamenti, et finalmente deliberorno andare in mar Maggiore, per vedere se potevano accrescere il loro capitale. [2] Et comprate molte bellissime gioie et di gran pretio, partendosi di Constantinopoli navigorono per il detto mar Maggiore ad un porto detto Soldadia, dal quale poi presero il cammino per terra alla corte di un gran signor de’ Tartari occidentali detto Barcha, che dimorava in la città di Bolgara et Assara, et era reputato un de’ piú liberali et cortesi signori che mai fosse stato fra’ Tartari. [3] Costui della venuta di questi fratelli hebbe grandissimo piacere et feceli grande honore; quali havendo mostrate le gioie portate seco, vedendo che gli piacevano, gliele donarono liberamente. [4] La cortesia cosí grande usata con tanto animo di questi due fratelli fece molto maravigliare detto signore, qual, non volendo essere da loro vinto di liberalità, gli fece donar il doppio della valuta di quelle, et appresso grandissimi et ricchissimi doni. [5] Et essendo stati un anno nel paese del detto signore, volendo ritornare a Venetia, subitamente nacque guerra tra il preditto Barcha et un altro nominato Alaú, signore d’i Tartari orientali. [6] Gli esserciti d’i quali havendo combattuto insieme, Alaú hebbe la vittoria et l’essercito di Barcha ne hebbe grandissima sconfitta; per la qual cagione, non essendo sicure le vie, non poteron ritornare a casa per la strada ch’erano venuti. [7] Et havendo dimandato come essi potessino ritornare a Constantinopoli, furono consigliati di andar tanto alla volta di levante che circondassino il reame di Barcha per vie incognite: et cosí vennero ad una città detta Ouchacha, qual è nel fin del regno di questo signor de’ Tartari di Ponente. [8] Et partendosi da quel luogo et andando piú oltre, passarono il fiume Tigris, ch’è uno de’ quattro fiumi del Paradiso et poi un deserto di 17 giornate, non trovando città, castello o vero altra fortezza, se non Tartari che vivono alla campagna in alcune tende, con gli suoi bestiami. [9] Passato il diserto, giunsero ad una buona città detta Bocara, et la provincia similmente Bocara, nella regione di Persia, la qual signoreggiava un re chiamato Barach: nel qual luogo essi dimororono tre anni, che non poteron ritornar indrieto né andar avanti, per la guerra grande ch’era fra gli Tartari. [10] In questo tempo un huomo dotato di molta sapientia fu mandato per imbasciadore dal sopradetto signor Alaú al Gran Can, che è il maggior re de tutti i Tartari, qual sta nelli confini della terra fra greco et levante, detto Cublai Can. [11] Il quale, essendo giunto in Bocara et trovando i sopradetti dui fratelli, i quali già pienamente havevano imparato il linguaggio tartaresco, fu allegro smisuratamente, però ch’egli non havea veduto altre volte huomini latini, et desiderava molto di vederli: et havendo con loro per molti giorni parlato et havuto compagnia, vedendo i gratiosi et buoni costumi suoi, gli confortò che venissero seco insieme al maggior re d’i Tartari, che li vederia molto volentieri, per non esservi mai stato alcuno latino, promettendogli che riceveriano da lui grandissimo honore et molti beneficii. [12] I quali, vedendo che non poteano ritornare a casa senza grandissimo pericolo, raccomandandosi a Dio, furono contenti di andarvi, et cosí cominciorono a camminare con il detto ambasciatore alla volta di greco et tramontana, havendo seco molti servitori christiani che havevano menati da Venetia. [13] Et un anno intiero stettero ad aggiungere alla corte del prefato maggior re de’ Tartari, et la cagione per|2v|ché indugiassero et stessino tanto tempo in questo viaggio fu per le nevi et per le acque dei fiumi ch’erano molto cresciute, sí che, camminando, bisognò che aspettassero fino a tanto che le nevi si disfacessero et che l’acque descrescessero. [14] Et trovorono molte cose mirabili et grandi, delle quali al presente non si fa mentione, perché sono scritte per ordine da messer Marco, figliuolo di messer Nicolò, in questo libro seguente. [15] I quali messer Nicolò et messer Maffeo essendo venuti davanti il prefato Gran Can, il qual era molto benigno, gli ricevette allegramente et fece grandissimo honore et festa della sua venuta, percioché mai in quelle parti erano stati huomini latini; et cominciolli a dimandare delle parti di ponente et dell’imperatore de’ Romani et degli altri re et principi christiani, et della grandezza, costumi et possanza loro, et come ne’ suoi reami et signorie osservavano giustitia, et come si portavano nelle cose della guerra; et sopra tutto gli domandò diligentemente del papa de’ christiani, delle cose della Chiesa et del culto della fede christiana. [16] Et messer Nicolò et messer Maffeo, come huomini savi et prudenti, gli esposero la verità, parlandoli sempre bene et ordinatamente d’ogni cosa in lingua tartara, che sapevano benissimo: per il che spesse volte detto Gran Can comandava che venissino a lui, et erano molto grati avanti gli occhi di quello. [17] Havendo adunque il Gran Can inteso tutte le cose de’ latini, come li detti duoi fratelli gli havevano saviamente esposto, si era molto satisfatto; et proponendo nell’animo suo di volergli mandar ambasciatori al papa, volse haver prima il consiglio sopra di questo dei suoi baroni, et dipoi, chiamati a sé i detti duoi fratelli, gli pregò che per amor suo volessero andar al papa dei Romani, con uno de’ suoi baroni che si dimandava Chogatal, a pregarlo che li piacesse di mandargli cento huomini savi et bene instrutti della fede christiana et di tutte le sette arti, i quali sapessino mostrar a’ suoi savi, con ragioni vere et probabili, che la fede dei christiani era la migliore et piú vera di tutte l’altre, et che i dei d’i Tartari et gli suoi idoli quali adorano nelle sue case erano demonii, et che egli et gli altri d’oriente erano ingannati in lo adorare dei suoi dei. [18] Et oltre di questo commesse alli detti fratelli che nel ritorno li portassero de Hierusalem dell’oglio della lampade che arde sopra il Sepolchro del nostro Signor messer Iesú Christo, nel qual havea grandissima devotione, et teniva quello essere vero Iddio, havendolo in somma veneratione. [19] Messer Nicolò et messer Maffeo, udito quanto li veniva commandato, humilmente inginocchiati dinanzi al Gran Can dissero che erano pronti et apparecchiati de far tutto ciò che gli piaceva; qual li fece scriver lettere in lingua tartaresca al papa di Roma et gliele diede, et anchora comandò che gli fosse data una tavola d’oro, nella qual era scolpito il segno reale, secondo l’usanza della sua grandezza: et qualunche persona che porta detta tavola deve essere menata et condutta di luogo a luogo da tutti i rettori delle terre sottoposte all’imperio, sicura con tutta la compagnia; et per il tempo che vuole dimorare in alcuna città, fortezza o castello o villa, a lei et a tutti i suoi gli vien provisto et fatte le spese et date tutte l’altre cose necessarie. [20] Hor, essendo essi dispazzati cosí honoratamente, pigliata licenza dal Gran Can, cominciorno a camminare, portando con essi loro le lettere et la tavola d’oro; et havendo cavalcato insieme venti giornate, il baron sopradetto si ammalò gravemente, per volontà del qual et per consiglio de molti lasciandolo seguitorno il suo viaggio, et per la tavola d’oro c’havevano erano in ogni parte ricevuti con grandissimo favore, et fattoli le spese et datoli le scorte. [21] Et per i gran freddi, nevi et giazze, et per l’acque de’ fiumi che trovorono molto cresciute in molti luoghi, li fu necessario di ritardare il loro viaggio, nel qual stettero tre anni avanti che potessino venire ad un porto dell’Armenia Minore detta la Giazza; dalla qual dipartendosi per mare vennero in Acre, del mese di aprile nell’anno MCCLXIX. [22] Giunti che furono in Acre, et inteso che Clemente papa quarto novamente era morto, si contristorono fortemente. [23] Era in Acre allhora legato di quel papa uno nominato messer Tibaldo de’ Vesconti di Piacenza, al qual essi dissero tutto ciò che tenevano d’ordine del Gran Can; costui gli consigliò che al tutto aspettassino la elettione del papa, et che poi essequiriano la loro ambassaria. [24] Li quali fratelli, vedendo che questo era il meglio, dissero che cosí fariano, et che fra questo mezzo volevano andare a Venetia a veder casa sua. [25] Et partiti da Acre con una nave, vennero a Negroponte et de lí a Venetia dove giunti, messer Nicolò trovò che sua moglie era morta, la qual nella sua partita haveva lassata gravida, et havea partorito un figliuolo al quale havean po|3r|sto nome Marco, il qual era già di anni 19: questo è quel Marco che ordinò questo libro, il quale manifestarà in esso tutte quelle cose le quali egli vidde. [26] In questo mezzo la elettione del papa si indugiò tanto ch’essi stettero in Venetia duoi anni continuamente aspettandola; quali essendo passati, messer Nicolò et messer Maffio, temendo che ’l Gran Can non si sdegnasse per la troppo dimoranza loro, o vero credesse che non dovessino tornar piú da lui, ritornorono in Acre, menando seco Marco sopradetto; et con parola del prefato legato andorno in Hierusalem a visitar il Sepolchro di messer Iesú Christo, dove tolsero dell’oglio della lampada, sí come dal Gran Can gli era stato comandato. [27] Et pigliando le lettere del detto legato drizzate al Gran Can, nelle quali si conteneva come essi havevano fatto l’officio fedelmente, et che anchora non era eletto il papa de’ christiani, andorno alla volta del porto della Giazza. [28] Nel medesimo tempo che costoro si partirono di Acre, il prefato legato hebbe messi d’Italia dagli cardinali com’egli era stà eletto papa, et se misse nome Gregorio decimo: qual, considerando che al presente che l’era fatto papa poteva amplamente satisfar alle dimande del Gran Can, spazzò immediate sue lettere al re di Armenia, dandoli nuova della sua elettione et pregandolo che, se gli duoi ambassadori che andavano al Gran Can non fossero partiti, li facesse ritornare a lui. [29] Queste lettere li trovorono anchora in Armenia, li quali con grandissima allegrezza volsero tornar in Acre; et per il detto re li fu data una galea et un ambassador, che si allegrasse con il sommo pontifice. [30] Alla presenza del quale giunti, furono da quello ricevuti con grande honore, et dapoi espediti con lettere papali; con li quali volse mandar duoi frati dell’ordine de’ predicatori, ch’erano gran theologi et molto letterati et savii, et allhora si trovavano in Acre, de’ quali uno era detto fra Nicolò da Vicenza, l’altro fra Guielmo da Tripoli: et a questi dette lettere et privilegi, et authorità di ordinar preti et episcopi et di far ogni absolutione, come la sua persona propria; et appresso gli dette presenti di grandissima valuta et molti belli vasi di christallo per appresentare al Gran Can. [31] Et con la sua benedittione si partirono et navigorno alla dritta al porto del‹la› Giazza, et di lí per terra in Armenia, dove intesero che ’l soldan di Babilonia, detto Benhochdare, era venuto con grande essercito, et havea scorso et abbrucciato gran paese dell’Armenia: della qual cosa impauriti, li duoi frati, dubitando della vita sua, non volsero andare piú avanti, ma, consegnate tutte le lettere et li presenti havuti dal papa alli prefati messer Nicolò et messer Maffio, rimassero con il maestro del Tempio, con il quale si tornorono indrieto. [32] Messer Nicolò et messer Maffio et messer Marco, partiti d’Armenia, si messero in viaggio verso il Gran Can, non stimando pericolo o travaglio alcuno. [33] Et attraversando deserti di lunghezza di molte giornate et molti mali passi, andorno tanto avanti, sempre alla volta di greco et tramontana, che intesero il Gran Can essere in una grande et nobil città detta Clemenfu; ad arrivare alla quale stettero anni tre et mezzo, però che nell’inverno, per le nevi grandi et per il molto crescere dell’acque et per i grandissimi freddi, poco potevan camminare. [34] Il Gran Can, havendo presentita la venuta di costoro, et come erano molto travagliati, per quaranta giornate li mandò ad incontrare, et feceli preparare in ogni luogo ciò che li facea bisogno, di modo che con l’aiuto di Dio si condussero alla fine alla sua corte: dove giunti, li accettò con la presenza de tutti i suoi baroni, con grandissima honorificentia et carezze. [35] Messer Nicolò, messer Maffio et messer Marco, come viddero il Gran Can, si inginocchiorono distendendosi per terra, ma lui gli comandò che si levassero et stessino in piedi, et che gli narrassero come erano stati in quel viaggio, et tutto ciò c’havevano fatto con la santità del papa: i quali havendogli detto il tutto, et con grande ordine et eloquenza, furono ascoltati con sommo silentio. [36] Dapoi gli diedero le lettere et li presenti di papa Gregorio, quali udite che hebbe il Gran Can, laudò molto la fedel sollecitudine et diligenza delli detti ambassadori, et riverentemente ricevendo l’oglio della lampada del Sepolchro del nostro Signor Iesú Christo, comandò che ’l fosse governato con grandissimo honore et riverenza. [37] Dapoi, dimandando il Gran Can di Marco chi egli era, et rispondendogli messer Nicolò che ’l era servo di sua Maestà, ma suo figliuolo, l’hebbe molto a grato, et fecelo scrivere tra gli altri suoi famigliari honorati: per la qual cosa da tutti quelli della corte era tenuto in gran conto et existimatione; et in poco tempo imparò i costumi de’ Tartari, et quattro linguaggi variati et diversi, ch’egli sapea scrivere et leggere in ciascuno. [38] Dove che ’l Gran Can, volendo provar la sapienza del detto messer Marco, mandollo per una facenda importante del suo reame ad una città detta Carazan, |3v| nel cammino alla qual consumò sei mesi: quivi si portò tanto saviamente et prudentemente in tutto ciò che gli era stà commesso, che il Gran Can l’hebbe molto accetto. [39] Et perché el si delettava molto di udir cose nove, et dei costumi et delle usanze degli huomini et conditioni delle terre, messer Marco, per ciascuna parte che ’l andava, cercava di esser informato con diligenza, et facendo un memoriale di tutto ciò che intendeva et vedeva, per poter compiacere alla volontà del detto Gran Can. [40] Et in ventisei anni ch’egli stette suo familiare, fu sí grato a quello che continuamente veniva mandato per tutti i suoi reami et signorie per ambassadore per fatti del Gran Can, et alcune volte per cose particolar di esso messer Marco, ma di volontà et ordine del Gran Can. [41] Questa adunque è la ragione che ’l prefato messer Marco imparò et vidde tante cose nove delle parti d’oriente, le quali diligentemente et ordinatamente si scriveranno qui di sotto. [42] Messer Nicolò, Maffeo et Marco essendo stati molti anni in questa corte, trovandosi molto ricchi di gioie di gran valuta et d’oro, un estremo desiderio di rivedere la sua patria di continuo gli era fisso nell’animo, et anchor che fossero honorati et accarezzati, nondimeno non pensavan mai ad altro che a questo. [43] Et vedendo il Gran Can esser molto vecchio, dubitavan che se ’l morisse avanti il suo partire, che per la lunghezza del cammino et infiniti pericoli che li soprastavano mai piú potessino tornare a casa, il che, vivendo lui, speravan di poter fare. [44] Et per tanto messer Nicolò un giorno, tolta occasione vedendo il Gran Can esser molto allegro, inginocchiatosi, per nome di tutti tre gli dimandò licenza di partirse: alla qual parola el si turbò tutto, et gli disse che causa gli moveva a voler mettersi a cosí lungo et pericoloso cammino, nel qual facilmente potriano morire; et se era per causa di robba o d’altro, gli voleva dare il doppio di quello che haveano a casa, et accrescergli in quanti honori che loro volessero, et per l’amor grande che gli portava li denegò in tutto il partirse. [45] In questo tempo accadette che morse una gran regina detta Bolgana, moglie del re Argon, in le Indie Orientali, la quale nel punto della sua morte dimandò di gratia al re, et cosí fece scriver nel suo testamento, che alcuna donna non sentasse nella sua sedia né fosse moglie di quello se non era della stirpe sua, la qual si trovava al Cataio, dove regnava il Gran Can. [46] Per la qual cosa el re Argon elesse tre savii suoi baroni, un de’ quali si domandava Ulatay, l’altro Apusca, il terzo Coza, et li mandò con gran compagnia per ambassadori al Gran Can, dimandandoli una donzella della progenie della regina Bolgana. [47] Il Gran Can, ricevutoli allegramente et fatta trovare una giovane di anni 17, detta *Cogatin, del parentado della detta regina, che era molto bella et gratiosa, la fece mostrar alli detti ambassadori: la qual ge piacque sommamente. [48] Et essendo stà preparate tutte le cose necessarie et una gran brigata per accompagnar con honorificenza questa novella sposa al re Argon, gli ambassadori, dapoi tolta grata licenza dal Gran Can, si partirono cavalcando per spatio di mesi otto per quella medesima via che erano venuti. [49] Et nel cammino trovorono che, per guerra nuovamente mossa fra alcuni re de’ Tartari, le strade erano serrate, et non possendo andar avanti, contro il suo volere furono astretti di ritornare di nuovo alla corte del Gran Can, al qual raccontarono tutto ciò che gli era intravenuto. [50] In questo tempo messer Marco, che era ritornato dalle parti d’India, dove era stato con alcune navi, disse al Gran Can molte nove di quelli paesi et del viaggio che ’l havea fatto, et fra l’altre che molto sicuramente si navigavano quelli mari. [51] Le qual parole essendo venute all’orecchie degli ambassadori de re Argon, desiderosi di tornarsene a casa, dalla quale erano passati anni tre che si trovavano absenti, andorno a parlar con li detti messer Nicolò, Maffeo et Marco, i quali similmente trovorono desiderosissimi di riveder la sua patria: et posto fra loro ordine che detti tre ambassadori con la regina andassero al Gran Can et dicessero che, possendosi andar per mare sicuramente fino al paese del re Argon, manco spesa si faria per mare et il viaggio saria piú corto (sí come messer Marco avea detto, che havea navigato in quelli paesi); sua Maestà fosse contenta di farli questa gratia, che andassero per mare, et che questi tre latini, cioè messer Nicolò, Maffeo et Marco, che havevano pratica del navigare detti mari, dovessero accompagnarli fino al paese del re Argon. [52] Il Gran Can, udendo questa loro dimanda, dimostrava gran dispiacere nel volto, perciò che non voleva che questi tre latini si partissero; nondimeno, non possendo far altrimente, consentí a quanto li richiesero: et se non era causa cosí grande et potente che lo astrinse, mai detti latini si partivano. [53] Per tanto fece venire alla sua presenza messer |4r| Nicolò, Maffio et Marco, et li disse molte gratiose parole dell’amor grande che li portava, et che li promettessero che, stati che fossero qualche tempo in la terra de’ christiani et a casa sua, volessero ritornare a lui. [54] Et li fece dar una tavola d’oro, dove era scritto un comandamento, che fossero liberi et sicuri per tutto il suo paese, et che in ogni luogo fossero fatte le spese a loro et alla sua famiglia, et datagli scorta, che sicuramente potessero passare, ordinando che fossero suoi ambassadori al papa, re di Francia, di Spagna et altri re christiani. [55] Poi fece preparar quattordeci navi, cadauna delle quali havea quattro arbori, et potevan navigar con nove vele, le quali come fossero fatte si potria dire, ma, per esser materia lunga, si lassa al presente. [56] Fra le dette navi ve ne erano almanco quattro o cinque che haveano da dugentocinquanta in dugentosessanta marinari. [57] Sopra queste navi montorono li ambassadori, la regina et messer Nicolò, Maffio et Marco, tolta prima licenza dal Gran Can, qual li fece dare molti rubini et altre gioie finissime et di grandissima valuta, et appresso la spesa che li bastasse per duoi anni. [58] Costoro, havendo navigato circa tre mesi, vennero ad una isola verso mezzodí nominata Iava, nella quale sono molte cose mirabili che si diranno nel processo del libro. [59] Et partiti dalla detta isola navigorono per il mare d’India mesi disdotto, avanti che potessero arrivare al paese del re Argon, dove andavano; et in questo viaggio viddero diverse et varie cose, che saranno similmente narrate in detto libro. [60] Et sappiate che, dal dí che introrno in mare fino al giunger suo, moritteno, fra marinari et altri ch’erano in dette navi, da seicento persone; et delli tre ambassadori non rimase se non uno, che havea nome Coza, et di tutte le donne et donzelle non moritte se non una. [61] Giunti al paese del re Argon, trovorono che ’l era morto, et che uno nominato Chiacato governava il suo reame per nome del figliuolo, che era giovine: al qual parse di mandare a dire come di ordine del re Argon havendo condutta quella regina, quel che li pareva che si facesse. [62] Costui li fece rispondere che la dovessero dare a Casan, figliuolo del re Argon, il qual allhora si trovava nelle parti del’Arbore Secco, nei confini della Persia, con sessantamila persone, per custodia di certi passi, acciò che non vi intrassero certe genti inimiche a depredare il suo paese: et cosí loro fecero. [63] Il che fornito, messer Nicolò, Maffio et Marco tornarono a Chiacato, percioché de lí dovea essere il suo cammino, et quivi dimororono nove mesi. [64] Dapoi havendo tolta licenza, Chiacato li fece dare quattro tavole d’oro, cadauna delle quali era lunga un cubito et larga cinque dita, et erano d’oro, di peso di tre o quattro marche l’una: et era scritto in quelle che, in virtú dell’eterno Iddio, il nome del Gran Can fosse honorato et laudato per molti anni, et cadauno che non obedirà sia fatto morire et confiscati i suoi beni. [65] Dapoi se conteniva che quelli tre ambassadori fossero honorati et serviti per tutte le terre et paesi sí come fosse la propria sua persona, et che li fosse fatto le spese, dati cavalli et le scorte, come fosse necessario. [66] Il che fu amplamente essequito, perciò che hebbero et spese et cavalli et tutto ciò che li era de bisogno, et molte volte havevano dugento cavalli, piú et manco, secondo che accadeva; né si poteva far altramente, perché questo Chiacato non haveva riputatione, et li popoli si mettevan a far molti mali et insulti; il che non haverian havuto ardire di fare se fossero stati sotto un suo vero et proprio signore. [67] Facendo messer Nicolò, Maffio et Marco questo viaggio, intesero come il Gran Can era mancato di questa vita, il che gli tolse del tutto la speranza di poter piú tornar in quelle parti; et cavalcorno tanto per le sue giornate che vennero in Trabesonda, et de lí a Constantinopoli et poi a Negroponte; et finalmente sani et salvi con molte ricchezze giunsero in Venetia, ringratiando Iddio che li haveva liberati da tante fatiche et preservati da infiniti pericoli: et questo fu dell’anno MCCXCV. [68] Et le cose di sopra narrate sono stà scritte in luogo di proemio, che si suol far a cadaun libro, acciò che chi lo leggerà cognosca et sappi che messer Marco Polo puoté sapere et intendere tutte queste cose in anni ventisei che ’l dimorò nelle parti d’oriente. |
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