1. I «Viaggi di Messer Marco Polo» di Giovanni Battista Ramusio: preliminari

(Alvaro Barbieri)

Raccolta di testi geografici di amplissimo respiro e dalla forte ambizione summatica, le Navigationi et viaggi approntate da Giovanni Battista Ramusio furono impresse in tre tomi a Venezia, presso la stamperia dei Giunti, tra il 1550 e il 1559. Il secondo volume del trittico, contenente i Viaggi di messer Marco Polo, apparve postumo nel 1559, due anni dopo la scomparsa del curatore. Di tutte le opere inquadrate in tale ambiziosa silloge, il Milione è certamente quella su cui si sono concentrate le maggiori attenzioni critiche.

Non c’è un solo modo di guardare al “Marco Polo” pubblicato da Ramusio (d’ora innanzi R). Il punto di vista vulgato è quello di Benedetto (1928), per il quale l’edizione ramusiana fu un serbatoio di preziosi materiali testuali e, in pari tempo, un grimaldello per venire a capo dell’intricata tradizione del libro di Marco. In tale prospettiva R non costituì soltanto un documento di particolare rilevanza, che compendiava in sé – alla stregua di un’editio variorum – una pluralità di redazioni, ma anche il punto di partenza e la chiave di volta di un ripensamento complessivo del problema del testo. A partire dallo smontaggio del collage ramusiano nei suoi costituenti e dall’esame “radiografico” dei suoi addenda, Benedetto pervenne a delineare uno schema di diffusione del Milione essenzialmente bipartito, che opponeva allo stato del testo trasmesso nel ms. parigino fr. 1116 (la redazione F) un altro stato più completo nel contenuto e più esatto nel dettato. Questa “forma” più genuina è rappresentata a diversi gradi di compiutezza formale e di ricchezza informativa dai vari testimoni di cui Ramusio si servì per integrare la versione di fra’ Pipino (P), “sinopia” e riferimento di base del suo lavoro di ricomposizione “a mosaico”. Proprio risolvendo il problema posto dai supplementi di R, Benedetto poté sciogliere, almeno nei groppi principali, l’aggrovigliata matassa della tradizione del Milione e formulare un’ipotesi di ricostruzione stemmatica che faceva dell’edizione di Ramusio un passaggio nodale e un momento rivelatore della storia testuale marcopoliana. L’analisi delle diverse redazioni messe a contribuzione nell’allestimento di R condusse, infatti, ad isolare una «fase anteriore a F», portatrice di una lezione particolarmente conservativa, e da tale fondamentale acquisto prese corpo l’idea di poter raggiungere uno stadio del testo vicino all’integrità primitiva, recuperabile dalle stesse fonti cui aveva attinto a piene mani Ramusio (vd. Benedetto 1928, pp. CLVIII-CC).

Da quanto si è scritto fin qui emerge con sufficiente nitidezza il ruolo centrale che si è soliti riconoscere ad R all’interno della tradizione poliana. Ma accanto a tale punto di vista strettamente filologico c’è pure la possibilità di guardare all’edizione ramusiana come ad un prodotto autonomo, di considerarla come un oggetto culturale analizzabile in sé e per sé, tanto per i suoi valori storici intrinseci quanto per i rapporti che intrattiene con l’opera ospitante, ovvero con la compagine di testi odeporici entro cui si trova inclusa.

Il lavoro di Ramusio sulle Navigationi e viaggi è un’operazione di grande complessità, che mette in gioco svariate competenze e, parallelamente, molteplici piani d’interpretazione. Al modo di ogni allestitore di sillogi, l’editore cinquecentesco dovette anzitutto provvedere alla ricerca, alla cernita, all’ordinamento e alla presentazione dei materiali disponibili. E a tale lavoro sull’impianto macrotestuale dell’antologia fece riscontro, a livello microtestuale, l’impegno profuso nel trattamento editoriale, che per i titoli di maggior rilievo poté consistere nei momenti della preparazione filologica dei testi, della loro traduzione o della loro revisione formale, per non parlare dell’allestimento dei complementi esegetici e introduttivi.

Dal confronto tra il Milione ramusiano e gli altri testi delle Navigationi et viaggi si ricava l’impressione che le cure consacrate alla relazione di Marco Polo siano notevolmente superiori rispetto allo standard della raccolta. In effetti, l’originalità di R e la sua importanza nella storia delle edizioni poliane non discendono unicamente dalla qualità delle fonti impiegate, ma dall’organicità di un lavoro editoriale in cui la rielaborazione culturale dei contenuti procede di pari passo con la ricomposizione filologica e la messa a punto stilistica dei documenti proposti al lettore. Entro il progetto complessivo della raccolta i Viaggi godono senza dubbio di uno speciale riguardo, sicuramente ascrivibile a una deliberata professione di “patriottismo” lagunare. Per riconoscimento unanime della critica, il II volume delle Navigationi et viaggi realizza attraverso una scelta mirata di autori veneziani un recupero glorificante del ruolo svolto dalla Repubblica di San Marco nella scoperta dell’Asia (vd. Donattini 1980, p. 60; Stegagno Picchio 2006, pp. 551, 545, 569). Riaffermare il contributo della Serenissima all’esplorazione dei quadranti orientali serviva verisimilmente a compensare l’amarezza di un presente assai meno brillante e la presa d’atto di un ridimensionamento, ovvero di un orizzonte reso ormai angusto dal confronto con i nuovi e sconfinati scenari rivelati dalle imprese marittime promosse dalle corone di Portogallo e di Spagna. La celebrazione dei viaggiatori veneziani non sarà allora da intendersi alla stregua di una semplice pennellata di fierezza lagunare o quale riflesso di una generica pietas erga patriam, ma andrà interpretata come l’effetto più evidente di un preciso disegno di rivendicazione dei fasti nazionali che lavora sottotraccia in tutto il tomo secondo della silloge. Si può anzi avanzare l’ipotesi che Marco Polo rappresentasse per Ramusio una sorta di prototipo del viaggiatore lagunare e quindi un blasone di gloria veneziana da esibire in posizione primaziale, ad apertura di volume. In tal senso, la collocazione incipitaria del Milione conferirebbe a Marco Polo l’aura dell’autore emblematico, protagonista di un’epoca eroica e ormai lontana in cui i gentiluomini della Serenissima si avventuravano negli spazi inesplorati dell’Asia interna. L’affermazione, che potrebbe parere azzardata, trova puntuali conferme nelle cure davvero speciali cui il testo marcopoliano è sottoposto. Basta riprendere in mano le tavole delle Navigationi e viaggi prodotte da Parks (1955) per vedere che anche il dispositivo paratestuale anteposto al Milione è incomparabilmente più ampio e articolato rispetto a quello concesso agli altri titoli. I testi convogliati nel secondo volume delle Navigationi et viaggi o sono offerti senza accompagnamenti esegetici o sono preceduti da un Discorso esordiale, facente funzioni di proemio e di accessus. A questa dotazione alquanto contenuta corrisponde invece, sulle soglie dei Viaggi, un organico ed elaborato corredo di apparati prefativi distribuito in tre avantesti. Nel primo (Di M. Gio. Battista Ramusio Prefatione sopra il principio del libro del Mag.co M. Marco Polo All’Eccellente M. Hieronimo Fracastoro) confluiscono notizie sulla vita e i viaggi di Marco Polo, informazioni sulla stesura e la prima trasmissione dell’opera, indicazioni sul criterio editoriale adottato nell’allestimento del testo. Segue un’ampia glossa (Espositione di M. Gio. Battista Ramusio sopra queste parole di Messer Marco Polo Nel tempo di Balduino Imperatore di Constantinopoli: doue allhora soleua stare vn Podestà di Venetia per nome di Messer lo Dose, correndo gli anni del nostro Signore 1250) interamente consacrata ai fatti della Quarta Crociata, alla conquista franco-veneziana di Costantinopoli e al ruolo della Repubblica di San Marco nel governo dell’Impero latino d’Oriente. Formalmente presentato come una nota chiarificatrice ad un preciso luogo testuale, questo particolareggiato excursus storiografico costituisce di fatto una nostalgica celebrazione del colonialismo veneziano nel bacino orientale del Mediterraneo. Infine, il terzo ed ultimo “cappello” introduttivo (Dichiaratione di alcuni luoghi ne libri di M. Marco Polo con l’Historia del Rheubarbaro) si offre come scolio e accompagnamento illustrativo di alcuni passi del Milione.

Se questo massiccio dispiegamento di “contorni” esegetici è il segno indiscutibile di un interesse speciale di Ramusio, altrettanto sintomatici sono la dedizione e l’impegno profusi nella preparazione del testo. Infatti, a giudicare dai risultati delle prospezioni di Romanini (2007, pp. 61-93), condotte su un corpus di opere numericamente limitato ma comunque rappresentativo, sembra di poter dire che le cure filologiche riservate al testo poliano superano in modo significativo i valori medi del lavoro editoriale dedicato agli altri autori pubblicati nelle Navigationi et viaggi. Più in particolare, l’edizione poliana è l’esito di un procedimento articolato che si compone di vari momenti: reperimento e collazione di codici, valutazione critica delle testimonianze, rifusione di modelli e materiali diversi in una prosa toscana di registro medio-alto.

Nella Prefatione già citata Ramusio espone in modo abbastanza chiaro le sue idee sulla genesi e le prime fasi della tradizione del testo, presentando altresì i principi-guida che hanno ispirato il trattamento editoriale. Diffondendosi in dettagli di sapore leggendario e di verosimile provenienza orale Ramusio compone un “romanzetto” di Marco, il cui pezzo forte è costituito dalla scena del ritorno a casa dei Polo, abbigliati in rozzi panni tartareschi, e dalla spettacolare messa in scena escogitata dal viaggiatore, insieme con suo padre e suo zio, per l’agnizione al cospetto dei parenti increduli. All’interno di questo “romanzetto” trovano posto anche le notizie sulle origini del Milione. Alcune di esse collimano con la realtà storica che siamo in grado di ricostruire e verificare, altre se ne distanziano nel modo più netto. La composizione del libro è sì attribuita alla cattività genovese, ma che il collaboratore di Marco fosse Rustichello e che il testo fosse redatto in francese non risulta a Ramusio, il quale assegna il ruolo di estensore ad un anonimo gentiluomo genovese e individua nel latino la lingua prescelta per la “messa in forma” della relazione («[…] avenne che detto libro fu dato fuori la prima volta da messer Marco in latino […]»: par. 67). Da questa stesura primitiva, fondata su «scritture et memoriali che [Marco Polo] havea portati seco » (par. 66) dal suo viaggio, sarebbero rapidamente propagginate innumerevoli trascrizioni e il primigenio testo latino sarebbe stato trasposto in volgare, onde facilitarne la diffusione tra un pubblico di illitterati smaniosi di leggere «le cose del paese del Cataio et del Gran Cane» (ibid.). Ben presto gli esemplari delle versioni vernacolari avrebbero saturato il mercato, eclissando le copie latine rimaste formalmente fedeli alla facies del testo uscito dalle carceri di Genova. Nel 1320, per restituire al testo l’universalità della sua fisionomia linguistica originaria, il frate domenicano Pipino da Bologna, «ritornò [il libro di Marco Polo] di volgare in latino» (par. 78).

Veniamo ora alla definizione degli intenti e dei criteri editoriali così come si trovano esplicitati nella Prefatione. L’obiettivo dichiarato è restituire piena credibilità al libro, liberandolo dalle «infinite scorretioni et errori» (par. 8) che ne hanno gravemente deturpato il dettato. Sottolineando i meriti della sua fatica filologica, il curatore cinquecentesco si fa un vanto di aver ripubblicato il libro in forma «perfettamente corrett[a] et di gran lunga molto piu fidele» (par. 10) alla genuinità primitiva rispetto alle versioni correnti. Il ripristino testuale è realizzato attraverso il confronto di svariati manoscritti che Ramusio ritiene di poter datare al sec. XIV («col mezzo di diversi esemplari scritti già piú di dugento anni» [ibid.]). Tra questi codici, di cui non ci è dato conoscere né il numero né il “profilo”, ce n’è soltanto uno meritevole di una menzione speciale:

«Una copia di tal libro, scritta la prima volta latinamente, di maravigliosa antichità, e forse copiata dallo originale di mano di esso messer Marco, molte volte ho veduta et incontrata con questa, che al presente mandiamo in luce, accomodatami da un gentilhuomo di questa città da Ca’ Ghisi, molto mio amico, che l’havea appresso di sé et la tenea molto chara» (par. 68).

Il manoscritto Ghisi, cui si attribuisce una possibile («forse») dipendenza diretta dall’autografo, andrà identificato con il teste della redazione latina Z (siglato Z1 nella classificazione di Benedetto 1928) dal quale Ramusio trasse gran parte dei lunghi passi etnografici di sicura autenticità che fanno il pregio della sua edizione e che sono invece ignoti ad F e ai suoi collaterali (sul posto di Z nell’operazione editoriale ramusiana e, più in generale, nella tradizione del Milione, cfr. Barbieri 2004, pp. 48-67). Dai “prolegomeni” della Prefatione si evincono, insomma, le direttrici di un progetto di “bonifica” del testo poliano che prevede due livelli d’intervento: da un lato la ripulitura del dettato testuale, emendato dalle scorrettezze depositatesi nel corso di una trasmissione manoscritta rapida e tumultuosa; dall’altro lato il recupero della completezza contenutistica originaria mediante gli apporti di redazioni particolarmente conservative.