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[0] Della provincia detta Carazan. Cap. 40.

[1] Quando si parte dalla detta città di Iaci, et che s’è camminato dieci giornate per ponente, trovasi la provincia di Carazan, sí come è nominata la maestra città del regno. [2] Adorano gli idoli, et sono sotto il dominio del Gran Can, et suo figliuolo nominato Cogatin tiene la dignità regale. [3] Trovasi in essa oro di paiola ne’ fiumi, et ancho oro piú grosso che di paiola, et ne’ monti oro di vena; et per la gran quantità che hanno, danno per sei sazzi d’argento un sazzo d’oro. [4] Quivi anchora si spendono le porcellane delle quali s’è detto di sopra, le quali non si trovano in questa provincia, ma sono portate dalle parti d’India. [5] Nascono in questi paesi grandissimi serpenti, quali sono di lunghezza passa dieci et di grossezza spanne dieci. [6] Hanno nella parte dinanzi, appresso il capo, due gambe picciole con tre unghie a modo di leone, et gli occhi maggiori d’un pane di quattro danari, tutti lucenti. [7] La bocca è cosí grande che inghiottirebbe un huomo; i denti grandi et acuti: et per essere tanto spaventevoli, non è huomo né animal alcuno che approssimandosi non tremi tutto. [8] Se ne trovano di minori, cioè di passa otto, sei et cinque lunghi, quali si prendono in questo modo, conciosiaché per il gran caldo stiano di giorno nelle caverne et di notte escono fuori a pascere, et quante bestie, o leoni o lupi o altre che si siano, che possono toccare, tutte le mangiano, et poi si vanno strascinando verso a’ laghi, fonti o fiumi per bere; et mentre che vanno a questo modo per l’arena, per la troppa gravezza del peso loro appaiono i vestigii cosí grandi come se una gran trave fosse stà tirata per quell’arena; et i cacciatori, dove veggono il sentiero per il qual sono usati d’andare, ficcano molti pali sotto terra che non appareno, et in quelli mettono alcuni ferri acutissimi ponendoli spessi, et copronli con l’arena che non si veggono: et ne mettono in diversi luoghi, secondo i sentieri dove piú veggono andar i serpenti, i quali, andando alli luoghi soliti, subito si feriscono et morono facilmente. [9] Et le cornacchie, come li veggono morti, cominciano a stridare, et li cacciatori a’ cridi di quelle cognoscono che sono morti et gli vanno a trovar et gli scorticano, cavandoli immediate il fiele, che è molto apprezzato ad infinite medicine et fra le altre al morso de’ cani arrabbiati, dandolo a bere al peso di un danaro in vino; et è cosa presentanea a far partorire una donna quando l’ha i dolori; et alli carboni et pustule che nascono sopra la persona, postone un poco, subito li risolve, et a molte altre cose. [10] Vendono anchor le carni di questo serpente molto care, per esser piú saporite dell’altre carni, et ognuno la mangia volentieri. [11] Oltre di ciò in detta provincia nascono grandi cavalli, i quali si conducono in India a vendere mentre sono giovani, et a tutti li cavano un osso della coda, accioché non possino menarla in qua et là ma rimanghi pendente, perché li par cosa brutta che ’l cavallo correndo meni la coda in giro. [12] Quelle genti cavalcano tenendo le staffe lunghe, come appresso di noi i Franceschi, et dicesi lunghe perché i Tartari et quasi tutte l’altre genti per il saettare le portano curte, percioché quando saettano se rizzano sopra i cavalli. [13] Hanno arme perfette di cuoi de buffali, et hanno lancie, scudi, balestre, et intossicano tutte le sue frezze. [14] Et mi fu detto per cosa certa che molte persone, et massime quelli che vogliono far qualche male, portano di continuo il tossico con loro, acciò, se per qualche caso fortuito per qualche mancamento fussero presi, et li volessero poner al tormento, piú tosto che patirlo si pongono subito del tossico in bocca et inghiottonlo, acciò prestamente muoiano. [15] Ma li signori, che sanno questa usanza, hanno sempre apparecchiato sterco di cane: li fanno di subito inghiottire per farli vomitar il tossico, et cosí hanno trovato il rimedio contra la malitia di quelli tristi. [16] Le dette genti, avanti che fussero soggiogate al dominio del Gran Can, osservavano una brutta et scelerata consuetudine, che se alcuno huomo nobile et bello, che paresse di grande et bella apparenza et valoroso, veniva ad alloggiare in casa loro, era ammazzato la notte, non per |36r| tuorli i danari, ma acciò che l’anima sua, con la gratia del valor suo et la prosperità del senso, rimanesse in quella casa, et per il stantiar di quella anima tutte le cose li succedessero con felicità: et ognun si riputava beato di haver l’anima di qualche nobile, et a questo modo si facevano morire molti huomini. [17] Ma, dapoi che il Gran Can cominciò a signoreggiare, li levò via quella maladetta consuetudine, di modo che, per la gran punitioni che sono stà fatte, piú non si osserva.