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Della nobile et magnifica città di Quinsai. Cap. 68.

[1] Partendosi da Vagiu, si cavalca tre giornate, di continuo trovando città, castelli et villaggi, tutti habitati et ricchi. [2] Le genti sono idolatre et sotto la signoria del Gran Can. [3] Doppo tre giornate si trova la nobile et magnifica città di Quinsai, che per la eccellenza, nobiltà et bellezza è stà chiamata con questo nome, che vuol dire “città del cielo”, perché al mondo non vi è una simile, né dove si trovino tanti piaceri, et che l’huomo si reputi essere in paradiso. [4] In questa città messer Marco Polo vi fu assai volte et volse con gran diligentia considerare et intender tutte le condition di quella, descrivendola sopra i suoi memoriali, come qui di sotto si dirà con brevità. [5] Questa città, per commune opinione, ha di circuito cento miglia, perché le strade et canali di quella sono molto larghi et ampli; poi vi sono piazze dove fanno mercato, che per la grandissima moltitudine che vi concorre è necessario che siano grandissime et amplissime. [6] Et è situata in questo modo, che ha da una banda un lago di acqua dolce, qual è chiarissimo, et dall’altra vi è un fiume grossissimo, qual, entrando per molti canali grandi et piccioli che discorrono in cadauna parte della città, et leva via tutte le immonditie et poi entra in detto lago et da quello scorre fino all’Oceano, il che causa bonissimo aere: et per tutta la città si puol andar per terra et per questi rivi. [7] Et le strade et canali sono larghi et grandi, che commodamente vi possono passar barche et carri a portar le cose |45v| necessarie agli habitanti. [8] Et è fama che vi siano dodicimila ponti, fra grandi et piccioli: ma quelli che sono fatti sopra i canali maestri et la strada principale sono stà voltati tanto alti et con tanto magisterio che una nave vi puol passare di sotto senza albero; et nondimeno vi passano sopra carrette et cavalli, talmente sono accommodate piane le strade con l’altezza. [9] Et se non vi fussero in tanto numero non si potria andar da un luogo all’altro. [10] Dall’altro canto della città vi è una fossa, lunga forse quaranta miglia, che la serra da quella banda, et è molto larga et piena d’acqua, che viene dal detto fiume; la qual fu fatta far per quelli re antichi di quella provincia, per potere derivar il fiume in quella ogni fiata che ’l cresce sopra le rive, et serve ancho per fortezza della città; et la terra cavata fu posta dentro, che fa la similitudine di picciol colle che la circonda. [11] Ivi sono dieci piazze principali, oltra infinite altre per le contrade, che sono quadre, cioè mezzo miglio per lato. [12] Et dalla parte davanti di quelle vi è una strada principale, larga 40 passa, che corre dritta da un capo all’altro della città, con molti ponti che la traversano, piani et commodi; et ogni 4 miglia si trova una di queste tal piazze, che hanno di circuito (come è detto) due miglia. [13] Vi è similmente un canale larghissimo, che corre all’incontro di detta strada dalla parte di drieto delle dette piazze, sopra la riva vicina del quale vi sono fabricate case grandi di pietra, dove ripongono tutti i mercatanti che vengono d’India et d’altre parti le sue robe et mercantie, acciò che le siano vicine et commode alle piazze. [14] Et in cadauna di dette piazze, tre giorni alla settimana, vi è concorso di quaranta in cinquantamila persone, che vengono al mercato et portano tutto ciò che si possi desiderare al vivere, perché sempre vi è copia grande di ogni sorte di vittuarie, di salvaticine, cioè caprioli, cervi, daini, lepori, conigli, et d’uccelli, pernici, fagiani, francollini, coturnici, galline, capponi, et tante anitre et oche che non si potriano dir piú, perché se ne allevano tante in quel lago che per un grosso di argento venetiano se ha un paro di oche et duoi para di anitre. [15] Vi sono poi le beccarie, dove ammazzano gli animali grossi, come vitelli, buoi, capretti et agnelli, le qual carni mangiano gli huomini ricchi et gran maestri; ma gli altri che sono di bassa conditione non si astengono da tutte l’altre sorti di carni immonde, senza havervi alcun rispetto. [16] Vi sono di continuo sopra le dette piazze tutte le sorti di herbe et frutti, et sopra tutti gli altri peri grandissimi, che pesano dieci libre l’uno, quali sono di dentro bianchi come una pasta et odoratissimi; persiche alli suoi tempi gialle et bianche, molto delicate. [17] Uva né vino non vi nasce, ma ne viene condotta d’altrove di secca, molto buona, et similmente del vino, del quale gli habitanti non si fanno troppo conto, essendo avezzi a quel di riso et di specie. [18] Vien condotto poi dal mare Oceano ogni giorno gran quantità di pesce all’incontro del fiume per il spatio di venticinque miglia, et vi è copia ancho di quel del lago, che tutt’hora vi sono pescatori che non fanno altro, qual è di diverse sorti, secondo le stagioni dell’anno, et per le immondicie che vengono dalla città è grasso et saporito, che chi vede la quantità del detto pesce non penseria mai che ’l si dovesse vendere; et nondimeno in poche hore vien tutto levato via, tanta è la moltitudine degli habitanti avezzi a vivere delicatamente, perché mangiano et pesce et carne in un medemo convito. [19] Tutte le dette dieci piazze sono circondate di case alte, et di sotto vi sono botteghe dove si lavorano ogni sorte di arti et si vende ogni sorte di mercantie et speciarie, gioie, perle; et in alcune botteghe non si vende altro che vino fatto di risi con speciarie, perché di continuo lo vanno faccendo di fresco in fresco, et è buon mercato. [20] Vi sono molte strade che rispondono sopra dette piazze, in alcune delle quali vi sono molti bagni di acqua fredda, accommodati con molti servitori et servitrici, che attendono a lavare et huomini et donne che vi vanno, percioché da piccioli sono usati a lavarsi in acqua fredda d’ogni tempo, la qual cosa dicono essere molto a proposito della sanità. [21] Tengono anchora in detti bagni alcune camere con l’acqua calda per forestieri, che non potriano patire la fredda, non essendovi avezzi. [22] Ogni giorno hanno usanza di lavarsi, et non mangieriano se non fossero lavati. [23] In altre strade stantiano le donne da partido, che sono in tanto numero che non ardisco a dirlo, et non solamente appresso le piazze, dove sono ordinariamente i luoghi loro deputati, ma per tutta la città; le qual stanno molto pomposamente, con grandi odori et con molte serve et le case tutte adornate. [24] Queste donne sono molto valenti et prattiche in sapere far lusinghe et carezze, con parole pronte et accommodate a cadauna sorte di persone, di maniera che i forestieri che le gustano una volta rimangono come fuor di sé, et tanto sono |46r| presi dalla dolcezza et piacevolezza sua che mai se le possono domenticare: et da qui adviene che, come ritornano a casa, dicono esser stati in Quinsai, cioè in la città del cielo, et non veggono mai l’hora che di nuovo possino ritornarvi. [25] In altre strade stantiano tutti li medici, astrologhi, quali ancho insegnano a leggere et scrivere et infiniti altri mestieri. [26] Hanno li suoi luoghi a torno a torno dette piazze, sopra cadauna delle quali vi sono duoi palazzi grandi, un da un capo et l’altro dall’altro, dove stantiano i signori deputati per il re, che fanno rason immediate se accade alcuna differentia fra li mercatanti, et similmente fra alcuni degli habitanti in quelli contorni. [27] Detti signori hanno carico d’intendere ogni giorno se le guardie che si fanno nelli ponti vicini (come di sotto si dirà) vi siano state o vero habbino mancato, et le puniscono come a loro pare. [28] Al lungo la strada principale, che habbiamo detto che corre da un capo all’altro della città, vi sono da una banda et dall’altra case et palazzi grandissimi con li suoi giardini, et appresso case de artefici che lavorano in le sue botteghe. [29] Et a tutt’hore se incontrano genti che vanno su et giú per le sue faccende, che li accade che a vedere tanta moltitudine ognun crederia che non fusse possibile che si trovasse vittuarie a bastanza di poterla pascere: et nondimeno in ogni giorno di mercato tutte le dette piazze sono coperte et ripiene di genti et mercatanti, che le portano et sopra carri et sopra navi, et tutta si spaccia. [30] Et per dire una similitudine del pevere che si consuma in questa città, accioché da questa si possi considerare la quantità delle vittuarie, carni, vini, speciarie, che alle spese universale che si fanno si ricerchino, messer Marco sentite far il conto, da un di quelli che attendono alle dovane del Gran Can, che in la città di Quinsai, per uso di quella, si consumava ogni giorno quarantatré some di pevere: et cadauna soma è libre dugento et ventitre. [31] Gli habitatori di questa città sono idolatri, et spendono moneta di carta; et cosí gli huomini come le donne sono bianchi et belli, et vestono di continuo la maggior parte di seda, per la grande abondanza che hanno di quella, che nasce in tutto il territorio di Quinsai, oltra la gran quantità che di continuo per mercatanti vien portata di altre provincie. [32] Vi sono dodici arti che sono riputate le principali che habbino maggior corso dell’altre, cadauna delle quali ha mille botteghe, et in cadauna bottega o vero stantia vi dimorano dieci, quindici et venti lavoranti, et in alcune fino a quaranta, sotto il suo patrone o vero maestro. [33] Li ricchi et principal capi di dette botteghe non fanno opera alcuna con le loro mani, ma stanno civilmente et con gran pompa. [34] Il medemo fanno le loro donne et mogli, che sono bellissime, com’è detto, et allevate morbidamente et con gran delicatezze, et vestono con tanti adornamenti di seda et di gioie che non si potria stimare la valuta di quelli. [35] Et anchor che per li re antichi fosse ordinato per legge che cadauno habitante fosse obligato ad essercitare l’arte del padre, nondimeno, come diventano ricchi, li era permesso di non lavorar piú con le proprie mani, ma ben erano obligati di tenire la bottega, et huomini che vi essercitassino l’arte paterna. [36] Hanno le loro case molto ben composte et riccamente lavorate, et tanto si dilettano negli ornamenti, pitture et fabriche, che è cosa stupenda la gran spesa che vi fanno. [37] Gli habitanti naturali della città di Quinsai sono huomini pacifici, per esser stà cosí allevati et avezzi dalli loro re, ch’erano della medema natura. [38] Non sanno maneggiar armi, né quelle tengono in casa; mai fra loro si ode o sente lite o vero differentia alcuna. [39] Fanno le loro mercantie et arti con gran realtà et verità; si amano l’un l’altro, di sorte che una contrada, per l’amorevolezza che è fra gli huomini et le donne per causa della vicinanza, si puol riputare una casa sola, tanta è la domestichezza ch’è fra loro, senza alcuna gelosia o sospetto delle lor donne, alle quali hanno grandissimo rispetto: et saria reputato molto infame uno che osasse dir parole inhoneste ad alcuna maritata. [40] Amano similmente i forestieri che vengono a loro per causa di mercantie et gli accettano volentieri in casa, faccendoli carezze, et li danno ogni aiuto et consiglio nelle faccende che fanno. [41] All’incontro non vogliono veder soldati né quelli delle guardie del Gran Can, parendoli che per causa sua siano stà privati delli loro naturali re et signori. [42] D’intorno di questo lago vi sono fabricati bellissimi edificii et gran palazzi, dentro et di fuori mirabilmente adorni, che sono di gentilhuomini et gran maestri; vi sono ancho molti tempii degl’idoli con li suoi monasterii, dove stanno gran numero di monachi che li servono. [43] Sono anchora in mezzo di questo lago due isole, sopra cadauna delle quali vi è fa|46v|bricato un palazzo, con tante camere et loggie che non si potria credere: et quando alcuno vuol celebrar nozze, o vero far qualche solenne convito, va ad uno di questi palazzi, dove gli vien dato tutto quello che per questo effetto gli è necessario, cioè vasellami, tovaglie, mantili et cadauna altra cosa, le qual sono tenute tutte in detti palazzi per il commune di detta città a questo effetto, perché furono fabricati da quello. [44] Et alle volte vi saranno cento, et alcuni vorranno far conviti et altri nozze: et nondimeno tutti saranno accommodati in diverse camere et loggie, con tanto ordine che uno non dà impedimento agli altri. [45] Oltra di questo si ritrovano in detto lago legni o vero barche in gran numero grandi et picciole per andar a sollazzo et darsi piacere, et in queste vi ponno stare dieci, quindeci et venti et piú persone, perché sono lunghe quindeci fino a venti passa, con fondo largo et piano, che navigano senza declinare ad alcuna banda; et cadauno che si diletta di sollazzarsi con donne o vero con suoi compagni piglia una di queste tal barche, le qual di continuo sono tenute adorne con belle sedie et tavole et con tutti gli altri paramenti necessarii a far un convito; di sopra sono coperte et piane, dove stanno huomini con stanghe qual ficchano in terra (perché detto lago non è alto piú di due passa), et conducono dette barche dove gli vien comandato. [46] La coperta della parte di dentro è dipinta di varii colori et figure, et similmente tutta la barca, et vi sono a torno a torno finestre che si possono serrare et aprire, accioché quelli che stanno a mangiar sentati dalle bande possino riguardare di qua et di là, et dare delettatione agli occhi per la varietà et bellezza d’i luoghi dove vengono condotti. [47] Et veramente l’andare per questo lago dà maggior consolatione et sollazzo che alcuna altra cosa che haver si possa in terra, perché ’l giace da un lato a lungo della città, di modo che di lontano, stando in dette barche, si vede tutta la grandezza et bellezza di quella, tanti sono i palazzi, tempii, monasterii, giardini con alberi altissimi posti sopra l’acqua. [48] Et si trovano di continuo in detto lago simil barche con genti che vanno a sollazzo, perché gli habitatori di questa città non pensano mai ad altro se non che, fatti che hanno i suoi mestieri o vero mercantie, con le sue donne o vero con quelle da partito dispensano una parte del giorno in darsi piacere, o in dette barche o vero in carrette per la città, delle qual è necessario che ne parliamo alquanto, per esser un d’i piaceri che gli habitanti pigliano per la città, al medemo modo che fanno con le barche per il lago. [49] Et prima è da sapere che tutte le strade di Quinsai sono saleggiate di pietre et di mattoni, et similmente sono saleggiate tutte le vie et strade che corrono per ogni canto della provincia di Mangi, sí che si puol andare per tutti i paesi di quella senza imbrattarsi i piedi. [50] Ma perché i corrieri del Gran Can con prestezza non potriano con cavalli correre sopra le strade saleggiate, però è lasciata una parte di strada dalla banda senza saleggiare, per causa di detti corrieri. [51] La strada veramente principale, che habbiamo detto di sopra che corre da un capo all’altro della città, è saleggiata similmente di pietre et di mattoni dieci passa per cadauna banda, ma nel mezzo è tutta ripiena di una giara picciola et minuta, con li suoi condutti in volto che conducono le acque che piovono nelli canali vicini, di sorte che di continuo sta asciutta. [52] Hor sopra questa strada di continuo si veggono andar su et giú alcune carrette lunghe, coperte et acconcie con panni et cussini di seda, sopra le quali vi possono stare sei persone, et vengono tolte ogni giorno da huomini et donne che vogliono andare a solazzo: et si veggono tutt’hora infinite di queste carrette andar a lungo di detta strada per il mezzo di quella, et se ne vanno a’ giardini, dove vengono accettati dagli hortolani sotto alcune ombre fatte per questo effetto, et qui stanno a darsi buon tempo tutto il giorno con le lor donne, et poi la sera se ne ritornano a casa sopra dette carrette. [53] Hanno un costume gli habitatori di Quinsai, che come nasce un fanciullo il padre o la madre fa subito scriver il giorno et l’hora et il punto del suo nascere, et si fanno dire agli astrologhi sotto qual segno l’è nato, et il tutto scrivono: et come egli è venuto grande volendo far mercantia, viaggio o nozze, se ne va all’astrologo con la nota sopradetta, qual, veduto et considerato il tutto, dice alcune volte cose che, trovate esser vere, le genti li danno grandissima fede. [54] Et di questi tal astrologhi o vero maghi ve n’è grandissimo numero sopra cadauna piazza; non si celebraria sponsalitio se l’astrologo non li dicesse il parer suo. [55] Hanno similmente per usanza che, quando alcun gran maestro riccho muore, tutti i suoi parenti si vestono di canevazzo, sí huomini come donne, andandolo accompagnare fino al |47r| luogo dove lo vogliono abbrucciare, et portano seco diverse sorti d’instrumenti, con li quali vanno sonando et cantando in alta voce orationi agl’idoli; et giunti al detto luogo buttano sopra il fuogo molte carte bombasine, dove hanno depinti schiavi, schiave, cavalli, camelli, drappi d’oro et di seda et monete d’oro et d’argento, perché dicono che ’l morto possederà nell’altro mondo tutte queste cose vive di carne et d’ossa, et haverà denari, drappi d’oro et di seda. [56] Et compiuto di abbrucciare suonano ad un tratto con grande allegrezza tutti li stormenti di continuo cantando, perché dicono che con tal honore li suoi idoli ricevono l’anima di quello che si è abbrucciato, et che l’è rinasciuto nell’altro mondo, comincia una vita di nuovo. [57] In questa città in cadauna contrada vi sono fabricate torri di pietra, nelle qual, in caso che si apizzi fuogo in qualche casa (il che spesso suol accadere, per esservene molte di legno), le genti scampano le loro robe in quelle. [58] Et anchor è ordinato per il Gran Can che sopra la maggior parte d’i ponti vi stiano notte et giorno sott’un coperto dieci guardiani, cioè cinque la notte et cinque il giorno, et in cadauna guardia vi è un tabernacolo grande di legno con un bacino grande et un horiuolo, con il quale cognoscono l’hore della notte et cosí quelle del giorno. [59] Et sempre al principio della notte, com’è passata un’hora, un d’i detti guardiani percuote una volta nel tabernacolo et nel bacino, et la contrada sente che l’è un’hora; alla seconda danno due botte, et il simil fanno in cadauna hora multiplicando i colpi, et non dormono mai, ma stanno sempre vigilanti. [60] La mattina poi al spontare del sole cominciano a battere un’hora come hanno fatto la sera, et cosí di hora in hora. [61] Vanno parte di loro per la contrada vedendo se alcuno tiene lume acceso o fuogo oltra le hore deputate, et vedendolo segnano la porta, et fanno che la mattina il patrone compare avanti i signori, qual, non trovando scusa legitima, viene condannato. [62] Se trovano alcuno che vadi di notte oltra l’hore limitate, lo ritengono et la mattina lo appresentano alli signori; item, se ’l giorno veggono alcun povero, qual per esser storpiato non possa lavorare, lo fanno andare a star negli hospitali, che infiniti ve ne sono per tutta la città fatti per li re antichi, che hanno grande entrate; et essendo sano lo constringono a fare alcun mestiero. [63] Immediate che veggono il fuogo acceso in alcuna casa, con il battere nel tabernacolo lo fanno asapere, et vi concorrono li guardiani di altri ponti a estinguerlo et salvare le robe d’i mercatanti o d’altri in dette torri, et anche le mettono in barche et portano all’isole che sono nel lago, perché niuno habitante della città in tempo di notte haveria ardimento di uscir di casa né andare al fuogo, ma solamente vi vanno quelli di chi sono le robe et queste guardie che vanno ad aiutare, le qual non sono mai manco di mille o duoimila. [64] Fanno ancho guardia in caso di alcuna ribellione o sollevatione che facessero gli habitanti della città, et sempre il Gran Can tien infiniti soldati da piè et da cavallo nella città et ne’ contorni di quella, et massime di maggior suoi baroni et suoi fideli ch’egl’habbi, per esserli questa provincia la piú cara, et sopra tutto questa nobilissima città, ch’è il capo et piú ricca di alcun’altra che sia al mondo. [65] Vi sono similmente fatti in molti luoghi monti di terra, lontani un miglio l’un dall’altro, sopra i quali vi è una baltresca di legname dove è appiccata una tavola grande di legno, la qual, tenendola un huomo con la mano, la percuote con l’altra con un martello, sí che si ode molto di lontano: et vi stanno delle dette guardie di continuo per far segno in caso di fuogo, perché, non li faccendo presta provisione, anderia pericolo di ardere mezza la città; o vero, come è detto, in caso di rebellione, che udito il segno tutti i guardiani d’i ponti vicini pigliano l’armi et corrono dove è il bisogno. [66] Il Gran Can, dapoi c’hebbe redutta a sua obedientia tutta la provincia di Mangi, qual era un regno solo, lo volse dividere in nove parti, constituendo sopra cadauna un re, li quali vi vanno a star per governare et administrare giustitia alli popoli. [67] Ogn’anno rendono conto alli fattori di esso Gran Can di tutte l’entrate et di cadauna altra cosa pertinente al suo regno, et si cambiano ogni tre anni, come fanno tutti gli altri officiali. [68] In questa città di Quinsai tiene la sua corte et fa residentia un d’i questi nove re, qual domina piú di cento et quaranta città, tutte ricche et grandi. [69] Né alcuno si maravigli, perché nella provincia di Mangi vi sono 1200 città, tutte habitate da gran moltitudine di genti ricche et industriose; in cadauna delle quali, secondo la grandezza et bisogno, tiene la custodia il Gran Can, perché in alcune vi saranno mille huomini, in altre diecimila o vero ventimila, secondo che ’l giudicherà |47v| che quella città sia piú et manco potente. [70] Né pensiate che tutti siano Tartari, ma della provincia del Cataio, perché li Tartari sono huomini a cavallo, et non stanno se non appresso le città che non siano in luoghi humidi, ma in le situate in luoghi sodi et secchi, dove possino essercitarsi a cavallo. [71] In queste città di luoghi humidi vi manda Cataini et di quelli di Mangi che siano huomini armigeri, perché di tutti li suoi sudditi ogn’anno ne fa eleggere quelli che parono atti alle armi et scriver nel suo essercito, sì che tutti si chiamano esserciti; et gli huomini che si cavano della provincia di Mangi non si mettono alla custodia delle lor proprie città, ma si mandano ad altre che siano discoste venti giornate di cammino, dove dimorano da quattro in cinque anni et poi ritornano a casa, et se li manda degli altri in suo luogo. [72] Et questo ordine osservano i Cataini et quelli della provincia di Mangi, et la maggior parte dell’entrate delle città che si riscuotono nella camera del Gran Can è deputata al mantenere di queste custodie de’ soldati. [73] Et se l’avviene che qualche città ribelli (perché spesse fiate gli huomini, soprapresi da qualche furore o ebrietà, ammazzano i suoi rettori), subito come s’intende il caso, le città propinque mandano tanta gente di questi esserciti che distruggono quelle città che hanno commesso l’errore, perché saria cosa lunga il voler far venire un essercito d’altra provincia del Cataio, che importaria il tempo di duoi mesi. [74] Et di certo la città di Quinsai ha di continua guardia trentamila soldati, et quella che ne ha meno ha mille fra da piedi et da cavallo. [75] Hor parleremo d’un bellissimo palazzo dove habitava il re Fanfur, li precessori del qual fecero serrare un spatio di paese che circondava da dieci miglia con muri altissimi, et lo divisero in tre parti. [76] In quella di mezzo s’entrava per una grandissima porta, dove trovavansi da un canto et dall’altro loggie a piè piano grandissime et larghissime, col coperchio sostentato da colonne, le quali erano depinte et lavorate con oro et azzurri finissimi; in testa poi si vedeva la principale et maggior di tutte l’altre, similmente dipinta con le colonne dorate, et il solaro con bellissimi ornamenti d’oro, et d’intorno alle parieti erano dipinte l’historie di re passati, con grande artificio. [77] Quivi ogni anno, in alcuni giorni dedicati alli suoi idoli, il re Fanfur soleva tenir corte et dar da mangiare alli principali signori, gran maestri et ricchi artefici della città di Quinsai: et ad un tratto vi sentavano a tavola commodamente sotto tutte dette loggie diecimila persone. [78] Et questa corte durava dieci o dodici giorni, et era cosa stupenda et fuor d’ogni credenza il vedere la magnificenza delli convitati, vistiti di seda et d’oro, con tante pietre pretiose adosso, perché ognun si sforzava di andare con maggior pompa et ricchezza che li fosse possibile. [79] Drieto di questa loggia c’habbiamo detto, ch’era per mezzo la porta grande, vi era un muro con un uscio che divideva l’altra parte del palazzo, dove entrati si trovava un altro gran luogo, fatto a modo di claustro, con le sue colonne che sostentavano il portico ch’andava a torno detto claustro: et quivi erano diverse camere per il re et la reina, le quali erano similmente lavorate con diversi lavori, et cosí tutti i parieti. [80] Da questo claustro s’entrava poi in un andito largo passa sei, tutto coperto, ma era tanto lungo che arrivava fino sopra il lago. [81] Rispondevano in questo andito dieci corti da una banda et dieci dall’altra, fabricate a modo di claustri lunghi, con li suoi portichi intorno, et cadauno claustro o vero corte havea cinquanta camere con li suoi giardini, et in tutte queste camere vi stantiavano mille donzelle che ’l re teniva alli suoi servitii; qual andava alcune fiate, con la regina et con alcune delle dette, a sollazzo per il lago, sopra barche tutte coperte di seda, et ancho a visitar li tempii degl’idoli. [82] Le altre due parti del detto serraglio erano partite in boschi, laghi et giardini bellissimi, piantati di arbori fruttiferi, dove erano serrati ogni sorte di animali, cioè caprioli, daini, cervi, lepori, conigli: et quivi il re andava a piacere con le sue damigelle, parte in carretta et parte a cavallo, et non vi entrava huomo alcuno, et faceva che le dette correvano con cani et davano la caccia a questi tal animali; et dapoi che l’erano stracche andavano in quei boschi che rispondevano sopra detti laghi, et qui lasciate le vesti, se ne uscivano nude fuori et entravano nell’acqua et mettevansi a notare, chi da una banda et chi dall’altra, et il re con grandissimo piacere le stava a vedere, et poi se ne ritornava a casa. [83] Alcune fiate si faceva portare da mangiare in quei boschi, ch’erano folti et spessi di alberi altissimi, servito dalle dette damigelle. [84] Et con questo continuo trastullo di donne si allevò senza saper ciò che si fussero armi, la qual cosa alla fine li partorí che, per la viltà et dappocagine sua, il Gran Can li tolse tutto il stado, con grandissi|48r|ma sua vergogna et vituperio, come di sopra si ha inteso. [85] Tutta questa narratione mi fu detta da un ricchissimo mercatante di Quinsai, trovandomi in quella città, qual era molto vecchio et stato intrinseco familiar del re Fanfur, et sapeva tutta la vita sua et havea veduto detto palazzo in essere, nel qual volse lui condurmi. [86] Et perché vi stantia il re deputato per il Gran Can, le loggie prime sono pure come solevano essere, ma le camere delle donzelle sono andate tutte in ruina, et non si vede altro che vestigii; similmente il muro che circondava li boschi et giardini è andato a terra, et non vi sono piú né animali né arbori. [87] Discosto da questa città circa venticinque miglia vi è il mare Oceano, fra greco et levante, appresso il quale vi è una città detta Gampu, dove è un bellissimo porto, al quale arrivano tutte le navi che vengono d’India con mercantie. [88] Et il fiume che viene dalla città di Quinsai entrando in mare fa questo porto, et tutt’il giorno le navi di Quinsai vanno su et giú con mercantie, et ivi caricano sopra altre navi, che vanno per diverse parti dell’India et del Cataio. [89] Havendosi trovato messer Marco in questa città di Quinsai quando si rendé conto alli fattori del Gran Can dell’entrade et numero degli habitanti, ha veduto che sono stà descritti 160 “toman” di fuochi, computando per un fuogo la famiglia che habita in una casa (e cadauno toman contiene diecimila), sí che in tutta la detta città sariano famiglie un millione et seicentomila: et in tanto numero di genti non vi è altra che una chiesa di christiani nestorini. [90] Sono obligati tutti i padri di famiglia di tener scritto sopra la porta della sua casa il nome di tutta la famiglia, cosí de maschi come di femmine; item il numero de’ cavalli: et quando alcuno manca si cancella il nome, et se nasce o si toglie di nuovo si aggiugne il nome, et a questo modo i signori et rettori delle città sanno di continuo il numero delle genti. [91] Et questo si osserva in le provincie del Mangi et del Cataio; et similmente tutti quelli che tengono hostarie scrivono sopra un libro il nome di quelli che vengono ad alloggiare, con il giorno et l’hora che partono, et mandano di giorno in giorno detti nomi alli signori che stanno sopra le piazze. [92] Item nella provincia di Mangi la maggior parte d’i poveri bisognosi, che non possono allevare i suoi figliuoli, li vendono alli ricchi, acciò che meglio siano allevati et piú abondantemente possino vivere.