PRETE GIANNI

R I 42 0; R I 42 3; R I 42 4; R I 43 7; R I 43 8; R I 43 10; R I 51 4; R I 52 0; R I 52 1 (Preti Gianni); R I 52 2; R I 52 3 (Preti Gianni); R I 53 0; R I 53 1; R I 53 2; R II 31 7; R II 54 1.

Prest(r)e Jo(h)an, Prester Jo(h)an F; Presbiter Iohannis L; Presbiter Johannes P; Prete Zane V; Prete Zane VA; Presto Ç(u)ane VB; Presbiter, Presbiter Iohan(n)is Z.

BIBLIOGRAFIA – Beckingham, Hamilton 1996; Bouloux 2002; Braudel 1985; Cardona 1975, pp. 698-703; Cattaneo 2011, p. 167; de Rachewiltz 1972, pp. 19-20; Ferreira Reis Thomaz 2002; Gadrat 2005, 180-183, 259; Gosman 1982; Gosman 1983; Hamilton 1996; Hirsch 1990; Hoogvliet 2007; Lachat 1967; Lindsay 1911; Milanesi 1986; Nowell 1953; Potestà 2014, pp. 115-133; Richard 1957; Scafi 2007; van den Wyngaert 1929, pp. 348-349, 483; Vagnon 2011; Vagnon 2012; Wagner 2000; Zaganelli 2000; Zarncke 1879.

(a)

Nelle sue linee essenziali la leggenda del Prete Gianni evoca un ricchissimo monarca cristiano d’Oriente, che si aspettava giungesse in soccorso alla cristianità impegnata nelle Crociate. La sua localizzazione si spostò, attraverso un proliferare di attribuzioni contrastanti, da una generica India, all’Asia Centrale, all’Etiopia (Beckingham, Hamilton 1996; Cardona 1975, pp. 689-702; Nowell 1953; Richard 1957). La leggenda inizia a circolare grazie alla Chronica (VII 33) di Ottone di Frisinga, che la fa dipendere dal racconto di Ugo, vescovo di Gabala, il quale nel 1145 avrebbe riferito a Eugenio III l’esistenza di un principe nestoriano, discendente dai Magi evangelici, proveniente dall’Oriente e attivo contro i Samiardi (Richard 1957, pp. 231-233; Gosman 1982, p. 1). Il mito ebbe poi la sua cristallisation letteraria intorno al 1165, quando la cosiddetta Lettera del Prete Gianni (De epistola Presbyteri Johannis) rivolta all’imperatore di Bisanzio e scritta forse in ambienti prossimi alla cancelleria di Federico Barbarossa, colmò i vuoti del resoconto di Ottone, proseguendo il programma di esaltazione della figura imperiale e saldando in un’unica persona ruolo sacerdotale e potere temporale (Potestà 2014, p. 118; Hamilton 1996, pp. 171-185; per un regesto delle interpretazioni relative alle finalità del testo vd. Gosman 1982, pp. 23-31; Wagner 2000, p. 11 e nota 9; Zaganelli 2000, pp. 12-15). La Lettera, che ha tra i suoi modelli l’Epistola Alexandri Macedonis ad Aristotelem magistrum suum de itinere suo et de situ Indiae (Zaganelli 2000, p. 11) e che alimentò il mito dell’Oriente attraverso il filtro delle fonti classiche (Gosman 1982, p. 3), ebbe un’enorme fortuna, come conferma la consistenza della tradizione manoscritta (vd. Zarncke 1879; Gosman 1982, pp. 3-120 e soprattutto la robusta mise à jour di Wagner 2000). Di fatto il P.G. simboleggiò per il Medioevo l’utopia del re che regna per grazia divina garantendo ai sudditi pace e abbondanza, e incarnò per l’Occidente la speranza di un’alleanza vittoriosa contro i musulmani; il suo carattere di falso non risultò evidente ai contemporanei, tanto che nel 1177 papa Alessandro III inviò un’ambasceria alla ricerca del re (de Rachewiltz 1972, pp. 19-20; Richard 1957, p. 230). Dalla vena principale rampollò una serie di varianti, come, nel 1221, la Relatio de Rege Davide (vd. la nota a David), e l’identità del P.G. fu adattata di volta in volta a personaggi storici diversi; la fortuna della sua figura, e la sua quête da parte di principi, missionari e viaggiatori si protrassero a lungo (traducendosi, in alcuni casi, in una vera disillusione, vd. Zaganelli 2000, p. 40 nota 39). Oltre a Polo (vd. note a Umcan e Georgio), citano il P.G., tra gli altri, Giovanni di Pian del Carpine (ed. Menestò 1989, p. 259), Guglielmo di Rubruck (ed. Chiesa 2011, pp. 82-85), Odorico da Pordenone, Giovanni da Montecorvino (ed. van den Wyngaert 1929, rispettivamente pp. 483 e 348-349). Collocano il P.G. in Africa Jordan Catala de Sévérac (ed. Gadrat 2005, pp. 180-183, 259), Giovanni de’ Marignolli (ed. van den Wyngaert 1929, p. 532) e il Libro del Conoscimiento (che lo identifica con il patriarca di Nubia ed Etiopia), secondo una tendenza che si afferma a partire dal XIV sec. e che viene accolta dalla cartografia (oltre a Milanesi 1986 e Ferreira Reis Thomaz 2002 vd. infra). Come ricorda Cardona (1975, pp. 699-702), l’etimologia del nome è stata oggetto di discussione; viene oggi generalmente respinta l’idea che essa abbia origini etiopi (tesi sostenuta da Richard 1957, p. 230).

[SS]

(b)

Nella sua prima menzione – nella Cronica di Ottone di Frisinga –, il P.G. risiede «ultra Persidem et Armeniam in extremo Oriente» (VII, 33), ed in Asia è cercato da G. di Pian del Carpine, G. di Rubruck, G. da Montecorvino e Marco Polo. Nel 1320, nelle illustrazioni per il Liber di Marino Sanudo, Pietro Vesconte traduce per primo il dato esperienziale in cartiglio (Hoogvliet 2007, p. 231): ad Oriente, confinante con il Cathay, è posta l’«India inferior Johannis presbiteri», distinta dall’«India magna» e dall’«India parva que est Ethiopia» (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica, Vat. lat. 2972, ff. 112v-113r, riprodotto in Bouloux 2002, planche 1; Richard 1957, p. 17; Braudel 1985, p. 97). La collocazione del P.G. s’intreccia, quindi, con la confusa definizione di India ed Etiopia, un problema che dal mondo antico passa al Medioevo per il tramite, in primis, delle Etymologiae di Isidoro, dove gli etiopi sono «monstruosa specie horribiles» come gli indiani (Etym., XIV V, 15; ed. Lindsay 1911, II, p. 130; vd. anche Vagnon 2012, p. 24). Nella mappa della cattedrale di Hereford (ca. 1280), infatti, il corno d’Africa è prolungato fino alla costa indiana (Braudel 1985, p. 90), mentre in quella di Ebstorf (ca. 1300, oggi distrutta), è popolato con le medesime creature teratologiche che affollano le terrae incognite dell’Asia (Vagnon 2012, p. 32). Fusa e confusa con l’India, l’Etiopia è dunque terra di mirabilia, indefinito “Oriente” adatto ad accogliere gli stessi prodigi menzionati nella Lettera (sebbene questa non sia una fonte per la cartografia, vd. Hoogvliet 2007, p. 230). In quanto tale, essa può dunque affiancarsi all’India/Asia come dimora elettiva del P.G., specialmente quando, dal XIII secolo, le missioni ad Tartaros e le prime carte nautiche approfondiscono le conoscenze geografiche (Vagnon 2012, pp. 32-33) e si avviano i primi contatti diplomatici con l’Etiopia (Richard 1957, p. 237). In seguito dell’ambasciata etiope alla corte di Clemente V nel 1310 (vd. Lachat 1967), Giovanni da Carignano redige un trattato dove riporta che «presbiterium Ianum illi populo tanquam patriarcham preesse» (Hirsch 1990, p. 78). L’opera, oggi perduta, ci è nota dal Supplementum Chronicarum Orbis di F. Foresti, e s’accompagnava ad una carta nautica firmata dallo stesso Carignano (Firenze, Archivio di Stato, arch. nat. port. 2; distrutta nel 1943; vd. Hirsch 1990, p. 78). Enclave cristiana nel cuore dell’impero mamelucco, l’Etiopia è un candidato ideale ad ospitare il leggendario sovrano, traslatio che si coniuga felicemente con la collocazione etiope del Paradiso Terrestre, conseguente all’identificazione del Nilo con il Gihon della Genesi. Per prossimità geografica ed identità religiosa, l’Etiopia è spesso confusa con la Nubia, approssimazione che si cristallizza nelle carte geografiche perdurando anche oltre l’islamizzazione della regione nubiana, completa alla metà del XIV secolo (Hirsch 1990 p. 89). Il conflitto religioso è evocato nella carta di Dulcert (Parigi, Bibliothèque Nationale, Rés., Ge. B. 696; 1339), dove l’Egitto fa continuamente guerra «cun christianos Nubie et Ethiope qui sunt sub domino prest Iane». «Christianus niger», il P.G. è distinto dall’imperatore d’Etiopia (chiamato «Senapus», come il “Senapo” dell’Orlando Furioso, vd. Milanesi 1986, p. 47), e appare come autorità religiosa sovranazionale (Hirsch 1990, pp. 86, 90). Analoghi i cartigli nell’Atlante Catalano del 1375, dove i cristiani di Nubia sono sottoposti alla «senyoria del enperador de Etiopia e de la terra de Preste Johan» (Hirsch 1990, p. 86; Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. esp. 30). La sovrapposizione dei due sovrani è invece attestata nella carta di Mecia de Villadestes (Parigi, BnF, Ge AA 566; 1413), che offre la prima rappresentazione iconografica del P.G. (Hirsch 1990, p. 90; vd. infra). Il trasferimento africano del presbiter non è, tuttavia, definitivo, e le oscillazioni Etiopia/Asia perdurano per tutto il XV secolo. In letteratura, all’altezza del 1494, Giuliano Dati pubblica un Tractato del maximo Prete Janni, imperatore «dell’India e dell’Ethiopia» (vd. Milanesi 1986, p. 47), mentre nel 1502 Valentim Fernandes, editore del Milione portoghese, smentisce la sede africana e ribadisce la collocazione nel Catai (vd. Ferreira Reis Thomaz, p. 133). Sul versante cartografico, nel 1436 Andrea Bianco situa ambiguamente il regno del P.G. in un lembo africano esageratamente allungato verso E e parallelo all’India (Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, It. Z 76, f. 10, vd. Hoogvliet 2007, p. 373). Nelle carte più tarde, la localizzazione dipende dalle fonti utilizzate (Hoogvliet 2007, p. 233). Asiatico è il P.G. dei mappamondi di Walsperger (Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica, Pal. Lat. 1362b, 1448; vd. Scafi 2007, pp. 199-200), Henricus Martellus (London, British Library, 15760, ff. 68v-69r, 1490), Martin Behaim (Nuremberg, Germanisches Nationalmuseum, 1492), Sebastian Münster (Monaco, Bayerische Staatsbibliotheck, Clm 10691, f. 206v, 1515-1518), dove il regno torna nel Cathay poliano (Hoogvliet 2007, p. 233). Localizzazioni contraddittorie si hanno in Martin Waldseemüller, nel planisfero di Gérard Mercator e nel Theatrum orbis terrarum di Abraham Ortelius (Hoogvliet 2007, pp. 233, 237). “Aggiornati” allo spostamento etiope sono, invece, la mappa di Giovanni Leardo (Verona, Biblioteca Civica, 3119, 1442; Vicenza, Biblioteca Civica Bertoliana, 598 A; American Geographical Society Library, 1452), la carta lenticolare “genovese” del 1457 (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Portolano 1), il mappamondo catalano della Biblioteca Estense (C. G. A. I) e, infine, il planisfero di Fra Mauro del 1459 (Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, inv. 106173), che pone il P.G. in Abissinia, decifrando il tolemaico Agisymba (Vagnon 2012, p. 42; Cattaneo 2011, p. 167). I portoghesi, per i quali l’alleanza con il leggendario sovrano è auspicabile in vista della circumnavigazione dell’Africa, cercano attivamente (e non senza delusioni, vd. Milanesi 1986, pp. 48-49) il P.G. in Etiopia, e lì lo collocano nelle carte fino al XVII secolo inoltrato, dal planisfero di Diogo Ribeiro del 1529 all’atlante della duchessa di Berry del 1628 (vd. Hoogvliet 2007, pp. 236, 238). Quanto all’iconografia, fissata dalla carta di Mecia de Villadestes nell’immagine di un sovrano con mitra e vincastro (interessanti le “varianti” dell’Atlante Catalano Estense, ove il P.G ha la pelle scura, e della carta marina di Waldseemüller, in cui è rex et sacerdos con croce e spada), verso la fine del XVI secolo essa sposta l’accento dai segni del potere alla sola fede cristiana del presbiter, vegliardo barbuto senza copricapro né bastone nel portolano di Sebastiao Lopes del 1565 (Hoogvliet 2007, pp. 236-238).

[IR]