QUINSAI

R II 55 13; R II 55 16; R II 67 8; R II 67 10; R II 68 0; R II 68 3; R II 68 24; R II 68 30; R II 68 31; R II 68 37; R II 68 41; R II 68 49; R II 68 53; R II 68 68; R II 68 74; R II 68 77; R II 68 85; R II 68 88; R II 68 89; R II 69 1; R II 70 1; R II 71 1; R II 72 3; R II 72 4; R II 73 1; R II 77 10; R II 77 14; R III 2 10; R III 4 3.

Q(u)insai F; Quinsai, Celum L; Quinsay, Quynsay P; Quisangi, Quisain, Chonsain, Chusain, Chuixain, Il Gielo, Quiansai, Quisanqui, Vusai V; Qui(n)sai, el ziello VA; Qui(n)quitia, Quins(s)ai, Quinsan VB; Qinsay, Qinsay, Qui(n)say Z.

BIBLIOGRAFIA – Balazs 1964; Cardona 1975, p. 706; De Biasio 2013; Hallberg 1907, pp. 428-429; Haw 2006, p. 119; Milanesi 1978-1988, III, p. 232 nota 1, p. 235 nota 1; Moule 1957; Vogel 2013, p. 61 note 218-219.

Q. è Hangzhou 杭州, capitale dei Song (960-1279) dal 1132, sulla foce del fiume Qiatang, nella Cina S, a circa 140 km da Shanghai. Fu conquistata nel 1276 dai Mongoli guidati dal generale Baian. Secondo Cardona (1975, p. 706) il nome (che si ritrova anche in Odorico da Pordenone e in Ibn Baṭṭūṭa) «sembra rendere uno dei nomi della città, Hsing-tsai (abbreviazione di cin. Hsing-tsai-so, “luogo di residenza temporanea [dell’imperatore]”», attraverso una trascrizione persiana come Xingsai (xing = viaggio; zai = sosta, cioè: “luogo di sosta dell’imperatore durante il viaggio”, De Biasio 2013, p. 41). Per Cardona la traduzione poliana (“la città del cielo”) dipende da un equivoco non meglio precisabile; Milanesi (1978-1988, III, p. 232 nota 1) osserva che «il significato “cielo in terra” deriva dal fraintendimento di un modo di dire cinese, che paragonava le sue ricchezze a quelle di Suzhou (Singui) al cielo». De Biasio (2013, p. 41) ritiene invece che lo stesso significato del toponimo, attestato in Odorico, abbia un fondamento: «Che fosse Città del Cielo, o meglio del Figlio del Cielo, non c’è dubbio. L’imperatore, in Cina, era il Figlio del Cielo». Il toponimo Q. durò nel tempo: «it continued to be called Kinsay even after some time of the Yuan conquest, and the custom of using this name by foreigners would have persisted to a later time» (Vogel 2013, p. 61 nota 218; per le varianti grafiche vd. Hallberg 1907, pp. 428-429: la città è nominata anche da Francesco Balducci Pegolotti, Nicolò de’ Conti e Mandeville, e il toponimo è registrato dalla tradizione cartografica).

Come ricorda Moule (1957, p. 11) «Quinsai occupies about a twenty-fifth part of the book of Marco Polo»: ad essa è dedicato il capitolo più lungo dell’intero Devisement du monde; del resto, per Marco Polo, la città è la più grande del mondo, con il suo perimetro di 100 miglia e gli oltre 12.000 ponti che connotano inconfondibilmente il panorama urbano, indispensabili per spostarsi da un luogo all’altro. Q. è infatti situata tra un fiume e un lago (il lago di Xihu, o Lago dell’Ovest, a O della città, tuttora luogo turistico di grande fascino). La descrizione poliana è così scandita (ritoccando la ripartizione proposta da Moule 1957, pp. 11-12): (1) aspetti topografici (perimetro della città – fossato e bastione nella parte orientale – canali, in particolare uno che scorre accanto alla strada principale – banchi di sabbia sulla riva del fiume – il fiume e le modalità della sua canalizzazione – la strada principale – i 12.000 ponti – i magazzini di pietra – il lago); (2) culti religiosi: i numerosi templi e una chiesa cristiana; (3) il potere politico: il palazzo imperiale; (4) le torri di guardia (vd. Vogel 2013, p. 61 nota 219 per ulteriore bibliografia); (5) il mercato; (6) i bagni; (7) le prostitute di Q. (8) un luogo deputato alla cremazione dei defunti. L’accenno alle prostitute di Q. è attestato soltanto in Ramusio: posto dopo la descrizione dei bagni, viene presentato come un logico sviluppo narrativo; tuttavia, secondo Moule (1957, p. 42), «Ramusio’s account of them [i bagni] as cold baths is in direct contradiction to the ordinary text and, almost certainly, to the fact; and raises a question about his sources to which there is as yet no answers. In Catai at any rate Ramusio himself says that the stoves and baths “are continually heated”. The assertion in FG texts that the baths werw fed by natural springs is also a mistake». Pure Milanesi (1978-1988, p. 235 nota 1), osserva che «era vero il contrario [rispetto a quanto detto da Ramusio sui bagni freddi]: i Cinesi prendevano soltanto bagni caldi. L’origine dell’equivoco non è chiara». Sul censimento degli abitanti dopo la conquista mongola vd. Haw (2006, p. 119); interamente dedicato alla città il saggio di Balazs 1964.

[SS]