CAMBALÚ
R II 1 9; R II 2 0; R II 2 1; R II 6 0; R II 6 1; R II 7 0; R II 7 1; R II 8 0; R II 8 15; R II 8 29; R II 16 26; R II 17 0; R II 18 1; R II 19 5; R II 20 1; R II 20 14; R II 24 0; R II 24 1; R II 25 0; R II 25 1; R II 27 1; R II 27 2; R II 49 13; R II 64 1; R II 75 1; R III 23 10.
Cabaluc, Cambalu, Canbalu(c), Ganbalu F; Cambalu(ch) L; Cambalu P; Chanbaluch(e), Chanbalun, Chanbelun, Charain Chabuer V; C(h)anbelu, Chanbellu, Ganbel(l)u VA; C(h)amalau, Camalot VB; Cambalu(c), Cambaluc Z.
BIBLIOGRAFIA – Cardona 1975, pp. 579-580; Ménard 2001-2009, V, pp. 147-148; Pelliot, pp. 140-143 n. 108; Rossabi 1988, pp. 131-135; Symons 2000; Vogel 2013, pp. 79, 121 sgg.; Vogelsang 2012, pp. 323, 325, 330-331.
Xānbalïq, “città reale” (in turco) fu uno dei nomi del nuovo sito urbano, nei pressi di Pechino, di cui Qubilai ordinò la costruzione nel 1267 – a NE di Zhongdu, capitale della dinastia Jurchen (non cinese) dei Jin (che dominarono la Cina N tra il 1115 e il 1224) –, trasferendovi la corte e l’amministrazione di tutto l’impero nel 1272 (evento a cui allude Polo in R II 7 3, che la raggiunse coi suoi parenti forse nell’autunno 1274 – vd. Vogel 2013, p. 79 e bibl.), e aprendovi la prima udienza pubblica nel 1274. La costruzione della città (e l’abbandono della capitale originaria, Caracoran) da una parte indicava la volontà del khan di dare all’identità del suo potere una curvatura “cinese” (valorizzando quindi le sue recenti acquisizioni territoriali); dall’altra, collocare la città ben più a N delle precedenti capitali cinesi (tutte nei pressi del Fiume Giallo e dei suoi affluenti) era azione perfettamente in linea con la dichiarazione di Qubilai d’essere signore di tutto l’impero mongolo. Del resto, la scelta ricalcava sul piano urbanistico il disegno complessivo della politica imperiale: «sotto Kubilai fu creato un sistema di governo che riprendeva le istituzioni essenziali di Tang, Song, Liao e Jin: una cancelleria centrale, i classici sei ministeri, la divisione del territorio in province, la tassazione pro capite e sul suolo, i monopoli di stato, un Ufficio per le traduzioni e un Ufficio storiografico. […] Kubilai goverò la Cina proprio come se fosse stato un imperatore cinese» (e nel 1271 diede alla sua dinastia il nome cinese Da Yuan “Grande principio”: Vogelsang 2012, p. 323). Il disegno della nuova capitale, affidato ad architetti mussulmani, seguì consapevolmente (per rassicurare i nuovi sudditi) il tradizionale modello cinese. Il disegno rettangolare dei 54 quartieri (o fang), definiti intorno agli assi viarii principali NS / EO fu racchiuso tra il 1267 e il 1268 da una cinta muraria di oltre 28 km, punteggiata da undici porte (due a N, tre sugli altri lati) protette da torri a tre piani. All’interno delle mura l’imperatore volle due spazi separati da cinte aggiuntive: la città imperiale (huangcheng) e al suo interno il palazzo di città (gongcheng) per la vita privata e le udienze pubbliche. La descrizione poliana (nei capp. 6-8 e 17-18) dà un’idea precisa del fascino della nuova città (ma si concentra anche sulla presenza della zecca imperiale: vd. Vogel 2013, pp. 121 sgg.): un suo tratto caratteristico – secondo Symons (2000, p. 319) – era la «scenic beauty» del grande parco imperiale nella sua parte CN; e mentre i quartieri destinati all’amministrazione e agli edifici privati dell’imperatore presentavano caratteri peculiari del gusto mongolo (vd. Rossabi 1988, p. 133), l’influenza del décor cinese si manifestò in particolare nel disegno e nella decorazione dei templi di cui Qubilai ordinò la costruzione, per garantirsi l’appoggio dell’élite confuciana (ma, come ricorda Vogelsang 2012, p. 325, nella città imperiale i signori mongoli vivevano in tende, seguendo le proprie tradizioni…). La costruzione della città ebbe effetti significativi sui dinamismi dell’economia cinese: provocò un fortissimo urbanesimo (innescato intanto dalla immigrazione delle maestranze necessarie per lo sviluppo edilizio), che impose la definizione di nuove strategie per l’approvvigionamento alimentare; per garantire il flusso di merci dal basso bacino dello Yangzi nel 1289 il “Grande Canale” (il polmone artificiale d’acqua fluviale, già attivo nell’alto Medioevo, che per 1700 km giungeva dal N fino a Hangzhou) fu prolungato fino alla capitale, e con esso la via pavimentata parallela (vd. Symons 2000, assai debitore a Rossabi 1988; sul Gran Canale vd. Ménard 2001-2009, V, pp. 147-148; Vogelsang 2012, pp. 330-331). I Cinesi chiamavano la città Dadu 大都 (“grande capitale”), Daidu i Mongoli (Taidu nel Milione: in Cardona si legge un’ottima sintesi sulle oscillazione grafiche del toponimo nella tradizione poliana – a cui si aggiungano le osservazioni di Pelliot sulla diffusione nell’Occidente medievale del toponimo).
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