MACOMETTO
R I 3 1; R I 6 1; R I 6 3; R I 7 5; R I 8 7; R I 8 17; R I 9 4; R I 9 6; R I 9 8; R I 11 9; R I 12 2; R I 16 5; R I 19 1; R I 20 5; R I 21 6; R I 21 8; R I 22 2; R I 22 7; R I 23 5; R I 28 1; R I 29 1; R I 31 2; R I 32 1; R I 34 2; R I 35 1; R I 39 2; R I 50 4; R I 52 8; R I 53 4; R II 2 3; R III 11 2; R III 36 2; R III 43 2; R III 44 2.
Maomet, Maümet F; Machome(n)t(h) L; Machometus P; Machometo V; Machometo VA; Machometo VB; Machometus Z.
BIBLIOGRAFIA – Amir-Moezzi 2007; Bancourt 1982; Bausani 1975; Burgio 2005; D’Ancona 1912; Tolan 2003.
La rappresentazione di Maometto e dell’Islām proposta da Ramusio, che si affida in tutto e per tutto al dettato delle sue fonti poliane, è sostanzialmente coerente con quella ampiamente diffusa nell’Occidente medievale, anzi, sembra assorbire alcuni elementi della leggenda riguardo alla vita del profeta che circolavano nei testi epici e letterari precedenti e coevi a Marco Polo (D’Ancona 1912). Questi pare poco interessato a descrivere nel dettaglio la religione islamica: il suo libro «non va oltre la tradizionale immagine del Nemico, nutrita dall’abituale ignoranza della sua identità religiosa» (Burgio 2005, p. 38), perché l’obiettivo principale è registrare il dato più che indagarlo. Traspaiono dal testo poliano filtrato da Ramusio una conoscenza superficiale della cultura musulmana e un’accettazione tutto sommato passiva della vulgata, diffusasi in Occidente quale «versione ufficiale» della storia dell’Islām (Bausani 1975, p. 29). Fa eccezione qualche dato etnografico probabilmente di prima mano, come quello relativo allo svolgimento dei riti funebri nell’Islām: quanto si legge in R I 9 8 («Et in fine della vita loro va a loro il sacerdote, et dimandali se credono che Macometto sia stato vero nuntio di Dio, et se rispondeno che lo credono sono salvi») corrisponde in effetti alla šahāda, ovvero all’attestazione di fede recitata in presenza del morente (e talora dal morente stesso): «Non c’è altro Dio all’infuori di Dio e Maometto è il suo Profeta». Secondo la tradizione islamica chiunque ascolti tale formula prima di morire ha garantito l’accesso in Paradiso. Sul piano fraseologico, le occorrenze della voce M. in R sono prevalentemente riconducibili a tre tipologie, tutte inaccettabili sotto il profilo della teologia islamica: a seconda dei casi, i musulmani «adorano Maometto», «osservano la legge di Maometto», «sono macomettani». L’espressione «adorano Maometto» (R I 6 1; R I 6 3; R I 9 4), che ricorre esclusivamente all’inizio del I libro, è inesatta in quanto, se è legittimo per un fedele onorare il Profeta, al solo Allāh è destinata l’adorazione. Tale fraseologia, che sottintende l’improponibile equiparazione tra il Profeta e Dio – per cui vd. anche R II 2 3 – è largamente attestata nei prodotti letterari dell’Occidente medievale, dalle chansons de geste (Bancourt 1982, p. 357 sgg.) al Roman de Mahomet di Alexandre du Pont del 1258 («Haute chose celestiane, | estes vous Deus en char humainne? | Donques vous doit en honorer, | faire moustiers et aourer, | et proier par pensée monde | qu’apaisiés voelliés estre au monde?» vv. 1354-1359), dove è chiaramente sottolineata la sovrapposizione tra M. e Dio. A partire da R I 11 9 il sintagma «adorano Maometto» è radicalmente soppiantato da «osservano la legge di Maometto» (R I 12 2; R I 19 1; R I 20 5; R I 22 2; R I 22 7; R I 25 1; R I 28 1; R I 29 1; R I 31 2; R I 32 1; R I 34 2; R I 35 1; R I 39 2; R I 50 4; R I 52 8; R I 52 8; R I 53 4; R III 36 2; R III 43 2). Se, in termini puramente teologici, l’espressione «osservare la legge di Maometto» è più pertinente di «adorare Maometto», e il suo utilizzo nel Milione parrebbe dunque suggerire una maggiore volontà di aderenza al contesto dottrinale musulmano, tuttavia essa non manca di ambiguità: la codificazione della legge islamica non va infatti attribuita a M., ma a Dio, che l’ha dettata al suo Profeta (Amir-Moezzi 2007, pp. 724-730). Alla diffusione di questa falsa credenza, che lascia tracce già nella Chanson de Roland al v. 611 («La lei i fut Mahum e Tervagan»), può aver contribuito il grande successo che in Occidente ha avuto la leggenda secondo la quale M. avrebbe scritto di suo pugno la nova lex, appuntandola sulle corna di un vitello (così nelle Vitae latine del XII secolo di Embricone e Adelphus, in Guibert de Nogent, negli Otia de Machomete, nel Roman de Mahomet: vd. Bancourt 1982, pp. 426-427; Tolan 2003). Attribuendo la paternità della legge islamica al Profeta anziché a Dio, i polemisti cristiani hanno buon gioco nel mettere in dubbio l’autenticità del testo coranico. Da un punto di vista sintattico, «osservano la legge di Maometto» ricalca il sintagma latino, frequente in Z, legem + genitivo + retinere /observare (Burgio 2005, p. 38); in R si dà anche la presenza di espressioni semanticamente più connotate quali «[essere] della legge di Macometto» (R III 44 2), «[convertirsi] alla legge di Macometto» («tutte le genti […] si sono convertiti [sic] alla legge di Macometto»: R III 11 2) e del sintagma «legge macomettana» (R I 52 7). Una combinazione dei due tipi si trova infine in R I 3 1: «i Turchomani, i quali adorano Macometto et tengono la sua legge», mentre in R I 8 17 l’espressione – nel discorso diretto del califfo di Baghdād – «la legge di Macometto nostro propheta» traduce nella seconda parte la formula araba Rasūl Allāh, epiteto tradizionale dell’inviato di Dio. Prossimo alla terminologia coranica è anche il sintagma «nel segno di Maometto» (R I 8 7), che sembra riecheggiare la definizione islamica della Rivelazione come «Grande Segno»: così ad es. in Corano, 41 53 «Mostreremo loro i Segni Nostri sugli orizzonti del mondo e fra di essi, / finché non sia chiaro per loro esso [il Corano] è la verità» (vd. anche Amir-Moezzi, pp. 785-786). Una casistica varia caratterizza in R l’utilizzo dell’aggettivo «mac(h)omettano». Lo si può trovare in costruzioni copulative quali «essere macomettano», dove è riferito sia a singoli individui (R I 21 3, Vecchio della Montagna; R III 41 1, il signore della città di Escier) che a gruppi di persone (R I 33 1, gli abitanti della città di Peym; R III 42 2, gli abitanti di Dulfar); o «farsi macomettano» (R III 39 10), che sembra nuovamente sottendere la preminenza accordata al Profeta piuttosto che al Dio dai fedeli islamici. In due occorrenze (R I 29 7, R III 42 2) e in una rubrica (R II 2 0) «mac(h)omettano» è invece aggettivo sostantivato, sinonimo di musulmano. Interessante è poi il caso di R II 39 7, ove il dettato testuale sembra suggerire – distinzione non reperibile altrove nel testo – una differenziazione (impropria) tra Sarraceni e Macomettani. In tre soli luoghi del testo ramusiano la rappresentazione del mondo islamico acquisisce chiare sfumature polemistiche. In R I 7 5 si afferma – sulla scorta di Z – che gli abitanti di Baldach sono dotti in teologia, nelle arti del quadrivium ma pure nell’arte occulta della negromanzia; il dato è interessante, poiché conoscenze esoteriche sono spesso attribuite a M. dalla polemistica cristiana medievale: ad es. nelle Vitae di Embricone e Adelphus si narra che egli sarebbe stato in grado di compiere magie, istruito nelle arti oscure da un magus malvagio; nel Roman de Mahomet il Profeta, oltre a essere esperto di trivio e quadrivio, è in grado di divinare «par forche d’astronomie s’aucuns hom eüst courte vie, | ou deüst vivre longhement, | ques ans fust plentius de forment, | ou s’il deust molt grant froit faire» (vv. 50-53). In R I 9 6 si afferma che gli abitanti di Thauris sono autorizzati dalla «legge di Macometto» a rubare agli infedeli e persino ad ucciderli («i Saraceni di Thauris sono perfidi et mali huomini, et hanno per la legge di Macometto che tutto quello che tolgono et robbano alle genti che non sono della sua legge sia ben tolto, né gli sia imputato ad alcun peccato, et se i christiani li ammazzassero o gli facessero qualche male, sono riputati martiri»). Che ai musulmani fosse lecito compiere azioni malvage contro gli infedeli è fatto privo di fondamento coranico e storico; tuttavia la credenza era assai diffusa, poiché in Occidente era ignorata la legislazione islamica che garantisce i diritti fondamentali ai popoli del libro (-′Ahl al-Kitāb), ovvero agli ebrei e ai cristiani. L’accusa, naturalmente, è funzionale alla rappresentazione del musulmano quale Nemico (Bausani 1975, pp. 32-33). In R I 23 5, infine, si ricorda come l’osservanza della legge religiosa non impedisca ai musulmani di essere «micidiali, perfidi et maligni» («Gli habitatori osservano la legge di Macometto, et sono micidiali, perfidi et maligni»).
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